Anche nella Fossa delle Marianne c’è plastica: un sacchetto ne ha colonizzato i fondali

Persino negli abissi più inaccessibili del nostro pianeta possiamo trovare la plastica. A dimostrarlo è un recente studio che ha pubblicato la foto di un sacchetto ritrovato nella Fossa delle Marianne, e già individuato per la prima volta nel maggio del 1998.

Anche nella Fossa delle Marianne c’è plastica: un sacchetto ne ha colonizzato i fondali

Quello della plastica è uno dei problemi che l’umanità ha incominciato ad affrontare solo negli ultimi anni. Per decenni la si è infatti prodotta a ritmo crescente, disinteressandosene però in tutto quel che attiene il suo smaltimento. La plastica ha così incominciato a colonizzare non solo la terra, ma anche mari e oceani.

Non sorprende quindi che la si possa trovare ovunque, addirittura anche nella Fossa delle Marianne, il luogo in assoluto più profondo della Terra. A darne una concreta dimostrazione è stato uno studio apparso su Marine Policy e condotto dall’Agency for Marine-Earth Science and Technology (JAMSTEC). Quest’agenzia giapponese si occupa di monitorare lo stato degli oceani fin nelle sue parti più profonde. Allo stesso tempo ha anche creato un database pubblico, in cui è possibile consultare foto e video di detriti plastici raccolti a partire dal 1983.

Fino ad oggi la maggior parte dei controlli ha riguardato i tratti marini meno profondi, anche perché in pochi si erano spinti più in là, dove gli abissi raggiungono valori proibitivi. E si è scoperto che anche queste zone sono infestate dalla plastica, materiale che minaccia sempre più l’ecosistema marino.

A comprova di tutto ciò troviamo le foto che giungono dalla Fossa delle Marianne. A 10.898 metri di profondità ci si aspetterebbe di scorgere un classico fondale oceanico, invece anche qui si è costretti ad arrendersi alla presenza della plastica. Per l’esattezza si tratta di un classico sacchetto monouso, la cui presenza era già stata annotata nel lontano maggio 1998.

A distanza di 20 anni, la busta è rimasta proprio lì dov’era, integra nelle sue dimensioni. A dire il vero i primi segni del tempo incominciano a farsi sentire, aggredendo la struttura che si sta progressivamente sfilacciando. Del resto la plastica può sopravvivere in acqua anche per migliaia di anni, quindi se nulla dovesse cambiare, albergherà i fondali dell’Oceano Pacifico ancora per diversi secoli. Il guaio a quelle profondità è che non si può contare né sulle correnti marine, né tanto meno sulla presenza dei raggi UV. Questa duplice mancanza rallenta il processo di decomposizione della plastica, destinata così a sopravvivere ancora più a lungo.

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