L’accordo su TikTok negli Stati Uniti resta sospeso in una fase di apparente equilibrio, dove nulla può essere dato per scontato fino alla firma definitiva. Dopo settimane di indiscrezioni che lasciavano intendere una svolta imminente, le ultime dichiarazioni provenienti da Pechino raffreddano gli entusiasmi e restituiscono l’immagine di un negoziato complesso, tollerato ma non apertamente sostenuto dal governo cinese.
È il classico scenario del “non ottimo, ma nemmeno disastroso”, in cui ogni parola pesa e ogni passaggio può cambiare il destino dell’app più discussa degli ultimi anni. A circa una settimana dall’annuncio di TikTok relativo alla creazione di una nuova joint venture focalizzata sugli Stati Uniti, il Ministero del Commercio cinese è intervenuto pubblicamente per chiarire la propria posizione. Secondo Pechino, l’operazione può andare avanti solo se rispetta le leggi cinesi e riesce a mantenere un equilibrio tra gli interessi delle parti coinvolte. Un messaggio che gli analisti interpretano come una forma di accettazione condizionata, ben lontana da un’approvazione entusiasta.
La Cina, in sostanza, non sembra intenzionata a bloccare l’accordo, ma nemmeno a legittimare una soluzione percepita come una cessione forzata mascherata da collaborazione internazionale. Il progetto prevede che le attività statunitensi di TikTok confluiscano in una nuova società, TikTok USDS Joint Venture LLC, controllata da un gruppo di investitori americani e alleati, mentre ByteDance manterrebbe una quota di minoranza.
Il nodo centrale resta la tecnologia di raccomandazione basata sull’intelligenza artificiale, vero cuore dell’app. ByteDance concederebbe in licenza questa tecnologia alla nuova entità, che la utilizzerebbe per addestrare un sistema rinnovato, con Oracle incaricata di garantirne la sicurezza. Una struttura pensata per rispondere alle preoccupazioni di Washington su dati e sicurezza nazionale, senza però trasferire completamente il know-how strategico fuori dalla Cina.
Il linguaggio prudente adottato da Pechino non è casuale e richiama quanto accaduto nel 2020, quando un precedente tentativo di accordo con Oracle e Walmart naufragò dopo l’aggiornamento delle regole cinesi sul controllo delle esportazioni, che includevano proprio gli algoritmi di raccomandazione. Anche oggi, la linea ufficiale è quella di considerare l’operazione una questione commerciale, purché resti entro i confini normativi. Un modo per mantenere il controllo senza alimentare uno scontro diretto con gli Stati Uniti.
Allo stesso tempo, la Cina sembra voler presentare l’eventuale esito come un compromesso negoziato e non come una resa alle pressioni politiche americane. Collegare l’intesa al clima di dialogo tra i vertici dei due Paesi serve anche a proteggere il governo da critiche interne, evitando l’impressione di aver sacrificato un campione tecnologico nazionale. Tuttavia, il messaggio di fondo contiene un avvertimento chiaro: tollerare questo accordo non significa accettare futuri interventi discriminatori o cambiamenti improvvisi delle regole per le aziende cinesi attive negli Stati Uniti. La struttura proprietaria riflette questa fragilità. Gli investitori americani e alleati deterranno il 50 per cento della nuova società, gli investitori storici di ByteDance poco più del 30 per cento, mentre la casa madre conserverà il 19,9 per cento. Il debutto ufficiale della joint venture è fissato per il 22 gennaio 2026, appena un giorno prima dell’entrata in vigore della legge statunitense che impone la vendita o il blocco dell’app. Una tempistica che dimostra quanto l’operazione sia appesa a un filo. In questo contesto, l’unica certezza è l’incertezza. Fino a quando l’accordo non sarà formalizzato, restano aperti tutti gli scenari: dalla conclusione positiva alla richiesta di un’ulteriore proroga, passando per l’ipotesi di un nuovo stallo. TikTok si trova così al centro di un delicato gioco geopolitico, dove tecnologia, regolamentazione e diplomazia si intrecciano, e dove ogni mossa può avere conseguenze globali.