Microsoft Teams dirà al tuo capo se sei in ufficio o sei ti sei imboscato

Microsoft Teams introdurrà una funzione per segnalare se i dipendenti sono in ufficio, sollevando interrogativi sulla privacy e sul rischio di sorveglianza digitale in nome dell’efficienza aziendale.

Microsoft Teams dirà al tuo capo se sei in ufficio o sei ti sei imboscato

Microsoft sta preparando un aggiornamento di Teams che, a partire dal gennaio 2026, permetterà ai datori di lavoro di sapere se un dipendente si trova fisicamente in ufficio o meno. La novità, pensata per migliorare la gestione dei team e facilitare la pianificazione di riunioni, apre però interrogativi significativi sulla privacy e sul confine tra controllo e sorveglianza digitale.

Il meccanismo alla base della funzione è semplice: se un dispositivo si collega alla rete Wi-Fi aziendale registrata, Teams mostrerà un’etichetta con lo stato “In ufficio” o simili, personalizzabile dall’azienda. Non è previsto alcun tracciamento GPS o geolocalizzazione in tempo reale, e non viene monitorato continuamente l’utente come accadrebbe con altre forme di controllo digitale.

Microsoft sottolinea che l’obiettivo principale è logistico: rendere più agevole la gestione degli spazi e la programmazione delle attività tra colleghi. Inoltre, la funzione sarà disattivata di default, lasciando all’amministratore (che in genere corrisponde col datore di lavoro) la scelta di attivarla secondo le policy aziendali e col consenso esplicito (quanto libero?) dei dipendenti.

Nonostante le rassicurazioni, la novità di Teams si inserisce in un contesto più ampio di monitoraggio dei lavoratori, accentuato dall’aumento dello smart working. La pandemia ha modificato le modalità di lavoro, generando una crescente esigenza da parte dei datori di lavoro di controllare la presenza e l’attività dei propri dipendenti, con il rischio che tale monitoraggio sfoci in pratiche invasive. Esempi recenti evidenziano quanto il confine tra controllo e abuso possa essere sottile. Nel 2024, Amazon France è stata sanzionata per 34 milioni di euro per un sistema di sorveglianza dei magazzinieri che raccoglieva dati dettagliati su tempi di inattività e attività quotidiane.

Cinque anni prima, la filiale tedesca di H&M a Norimberga è stata multata per aver archiviato informazioni sensibili dei dipendenti. Tali episodi dimostrano come la produttività spesso venga anteposta alla tutela della privacy, con conseguenze legali e reputazionali rilevanti. Negli ultimi anni, alcune aziende hanno sviluppato software di monitoraggio dei dipendenti, noti come “bossware”, capaci di tracciare ogni attività digitale, dallo spostamento del cursore a screenshot periodici del desktop, offrendo un controllo dettagliato sulla routine lavorativa.

Anche piattaforme di collaborazione come Slack e Google Workspace stanno introducendo strumenti di intelligenza artificiale in grado di analizzare metadati e comportamenti degli utenti, aumentando il rischio di sorveglianza invisibile. La funzione “In ufficio” di Microsoft Teams potrebbe quindi rappresentare un’innovazione utile per l’organizzazione del lavoro, ma solleva inevitabilmente domande etiche: fino a che punto la tecnologia può informare i datori di lavoro senza compromettere la privacy dei dipendenti? La chiave sarà trovare un equilibrio tra efficienza e tutela dei diritti individuali, evitando che strumenti pensati per facilitare il lavoro diventino strumenti di controllo continuo.

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