YouTube sta attraversando una fase di profonda trasformazione nel modo in cui gestisce l’accesso ai contenuti sulla piattaforma, puntando con decisione su un controllo dell’età sempre più automatizzato e basato sull’intelligenza artificiale. L’obiettivo ufficiale è tutelare gli utenti più giovani da video considerati poco adatti alla loro fascia, ma la strada scelta apre un dibattito molto più ampio sul rapporto tra sicurezza, privacy digitale e potere decisionale degli algoritmi.
La funzione, annunciata già mesi fa, si sta ora diffondendo con una nuova ondata di attivazioni che sta interessando un numero crescente di persone, in particolare negli Stati Uniti, anticipando quella che con grande probabilità diventerà una procedura standard anche in Europa e nel resto del mondo. La novità parte da una premessa: non è più l’utente a dichiarare autonomamente la propria età e ad assumersi la responsabilità dell’accesso ai contenuti, bensì è l’AI stessa a valutare se un profilo potrebbe appartenere a una persona minorenne.
In base ai comportamenti sulla piattaforma, alla cronologia e persino a dettagli che non vengono esplicitati pubblicamente, l’algoritmo può decidere di attivare delle limitazioni, riducendo l’accesso ai video e ai servizi ritenuti adatti solo a un pubblico maturo. Una volta scattato questo “blocco”, l’utente si ritrova costretto a una verifica aggiuntiva per dimostrare la propria maggiore età. Per superare il controllo, YouTube permette di caricare la scansione di un documento d’identità, utilizzare una carta di credito o inviare un selfie, attraverso il quale un ulteriore modello AI tenta di determinare l’età osservando i tratti del volto. Tutto ciò viene presentato come una procedura pensata per aumentare la protezione dei minori e rispondere in modo proattivo alle normative internazionali che richiedono maggiore responsabilità nel trattamento dei contenuti digitali rivolti ai giovani. Tuttavia, la soluzione ha generato non poche perplessità tra gli utenti coinvolti.
Le contestazioni principali riguardano innanzitutto la privacy. Molti non gradiscono l’idea di dover affidare a una piattaforma privata informazioni estremamente sensibili come un documento identificativo o un’immagine del proprio volto. Una parte del pubblico si sente penalizzato nonostante non abbia infranto alcuna regola e considera ingiusto dover fornire prove personali solo perché un algoritmo ha ritenuto “dubbia” la loro età. Il malcontento si è amplificato sui social: diversi utenti si sono dichiarati frustrati dal fatto di essere stati classificati erroneamente, trasformati in quello che molti definiscono un “falso positivo”. La rigidità del sistema non si limita a bloccare i contenuti più maturi, ma comporta anche altre conseguenze sulla fruizione della piattaforma. Gli account limitati visualizzano soltanto pubblicità generiche, hanno attivi per impostazione predefinita gli strumenti di benessere digitale e caricano i video in modalità privata senza possibilità immediata di monetizzazione. Queste condizioni rendono l’esperienza utente sensibilmente diversa e meno libera rispetto alla versione tradizionale della piattaforma, aumentando la sensazione di controllo eccessivo.
A complicare ulteriormente il quadro c’è un aspetto paradossale: il riconoscimento basato sul selfie, secondo alcune testimonianze, non sarebbe così accurato. Alcuni utenti avrebbero persino aggirato il sistema mostrando immagini prelevate da internet di persone che apparivano più adulte, riuscendo così a sbloccare il proprio account. Questo alimenta nuove critiche sull’affidabilità degli algoritmi che, pur limitando utenti reali senza motivo, rischiano allo stesso tempo di essere elusi con estrema facilità. YouTube difende la propria strategia sostenendo che l’espansione del controllo dell’età rappresenta un passo necessario per una piattaforma che ospita miliardi di contenuti e deve rispondere a obblighi normativi sempre più stringenti. La piattaforma sottolinea anche che i dati caricati vengono trattati con protocolli di sicurezza elevati e che parte delle verifiche è gestita da partner certificati. Eppure, il dibattito resta aperto, perché alla base c’è una questione fondamentale: fino a che punto è accettabile delegare decisioni così delicate a un’intelligenza artificiale?