Federico Bernardeschi, oggi calciatore del Bologna, si è raccontato con sincerità e trasparenza nel corso di un’intervista al podcast BSMT, affrontando temi sportivi e personali con una profondità rara. La chiacchierata ha spaziato dalla carriera professionale al percorso di crescita individuale, toccando episodi che hanno segnato la sua vita dentro e fuori dal campo.
Uno dei passaggi più intensi dell’intervista riguarda il complicato trasferimento dalla Fiorentina alla Juventus, avvenuto quando Bernardeschi aveva appena 23 anni. “Il trasferimento è stato pesante”, racconta, “non solo andavo alla Juventus, ma il numero 10 andava alla Juventus. E lo capisco, si guarda sempre una parte ed è facile magari insultare. Ci sta, fa parte del gioco”. Il calciatore ricorda lo striscione apparso fuori dallo stadio Franchi, con parole dure nei suoi confronti, e sottolinea come esperienze del genere siano parte del percorso di crescita.
Nonostante le difficoltà, Bernardeschi mantiene gratitudine per la Fiorentina, città e club che lo hanno formato: “Dieci anni dopo posso dirlo, in quel momento no. Anche l’avessi fatto, non sarebbe valso nulla per i tifosi viola”. Oltre alle scelte professionali, Bernardeschi ha condiviso anche esperienze personali che hanno messo alla prova la sua resilienza.
Racconta di aver indossato la gonna e di essere stato etichettato come gay dai media e dal pubblico, episodi che a vent’anni gli hanno provocato sofferenza. “Quelle parole a vent’anni mi hanno fatto soffrire”, confessa, “andavo in spogliatoio con la gonna, e me ne hanno dette e scritte di ogni, anche sui giornali. Ma se mi piaceva la gonna la mettevo, non vedo quale sia il problema”. Oggi Bernardeschi trasforma quelle difficoltà in un messaggio chiaro: la libertà di essere sé stessi deve prevalere sul giudizio degli altri.
“Bisogna che la gente capisca che ognuno deve esser libero di fare quel che vuole. E anche domandarsi: davvero è così importante l’opinione degli altri? Se io faccio soffrire la mia famiglia allora è un problema, ma quel che mi dice la gente non deve mai esserlo”. L’intervista evidenzia anche il lato strategico e attento di Bernardeschi nella gestione della carriera.
Ricorda, con ironia, l’episodio del “certificato medico” durante il trasferimento alla Juventus, una scelta tattica per proteggersi in un momento di forte pressione. Questi episodi mostrano come la maturità e la consapevolezza siano cresciute insieme alla carriera, insegnando a Bernardeschi a bilanciare ambizione professionale e autenticità personale. Il messaggio finale del calciatore è chiaro: affrontare giudizi e pregiudizi richiede coraggio, ma la libertà di esprimere la propria identità e le proprie passioni è un valore imprescindibile. Le parole di Bernardeschi hanno trovato immediata eco sui social, con numerosi messaggi di stima e solidarietà, sottolineando l’importanza di parlare apertamente di esperienze personali e di normalizzare la diversità.