Meta ha recentemente aggiornato WhatsApp introducendo un tasto dedicato alla sua intelligenza artificiale, Meta AI. Si tratta di un cambiamento apparentemente minore, posto in basso a destra nella schermata Chat, poco sopra il fumetto col “più”, ma che ha scatenato una forte reazione da parte degli utenti, soprattutto europei, che lo considerano invasivo e potenzialmente lesivo della privacy.
Il problema maggiore è che questo pulsante non può essere disattivato o nascosto, costringendo di fatto gli utenti a conviverci anche se non intendono usarlo. Non è solo la presenza del tasto a preoccupare, ma anche la sua posizione strategica, facilmente cliccabile per errore. Meta ha cercato di rassicurare l’utenza dichiarando che “se non si preme, non succede nulla”, ma l’Unione Europea non sembra accontentarsi di questa giustificazione.
L’eurodeputata liberale Veronika Cifrová Ostrihoňová – eletta in quota “Slovacchia Progressista” – ha infatti annunciato pubblicamente di aver presentato un’interrogazione alla Commissione Europea, chiedendo di verificare la conformità della nuova funzionalità alle normative comunitarie in materia di privacy e trasparenza.
Meta ha ribadito che la versione del suo chatbot in Europa è stata progettata rispettando le normative locali: nessun dato degli utenti europei sarebbe stato utilizzato per addestrare l’intelligenza artificiale, e le conversazioni restano criptate end-to-end. Tuttavia, secondo la Data Protection Commission irlandese, permangono alcune aree grigie che richiedono chiarimenti, soprattutto in termini di accessibilità dei dati e di trasparenza nei confronti degli utenti.
Le polemiche si inseriscono in un contesto già teso: Meta AI doveva arrivare in Europa già nel 2024, ma i dubbi sollevati dalle autorità garanti della privacy avevano posticipato il lancio. La società di Menlo Park, all’epoca, aveva giustificato la necessità di usare contenuti pubblici degli utenti per addestrare i suoi modelli linguistici, spiegando che senza quei dati l’IA sarebbe stata poco efficace nel comprendere le specificità culturali europee. Un’affermazione che non aveva convinto del tutto i regolatori.