Meta, il colosso hi-tech che controlla alcune delle principali piattaforme social del momento, nelle scorse ore si è trovata alle prese con due belle gatte da pelare, a proposito di una moderazione che di fatto distingue tra utenti di serie A e utenti di serie B, e in merito alle notizie erogate negli USA.
Lo scorso anno, il Wall Street Journal, grazie alle rivelazioni della talpa Frances Haugen, notiziò dell’esistenza di XCheck, un programma di controllo incrociato, che demandava all’analisi successiva di moderatori umani alcuni contenuti segnalati dall’intelligenza artificiale, mettendo allo scoperto il fatto che tale programma era molto indulgente verso alcuni utenti privilegiati, e più esteso di quanto ci si aspettasse, arrivando a coprire chiunque avesse seguito online sostanziale: l’esempio tipico è quello di Neymar di cui non venne rimosso un post che ritraeva una donna nuda, nonostante si fosse violata la norma sulle “immagini intime non consensuali”.
Meta, allora, chiese un parere al consiglio di sorveglianza indipendente Oversight Board (da sé costituito e “finanziato dalla società attraverso un trust“) che, nelle scorse ore, si è espresso, mediante un parere e una serie di raccomandazioni non vincolanti cui l’azienda dovrà rispondere entro 90 giorni (i 60 abituali sono stati prorogati). Nello specifico, il Board ha precisato che, vista la mole di contenuti generati dagli utenti, Meta deve dotarsi di “meccanismi per affrontare gli errori di applicazione” delle sue policy di moderazione, ma il modo in cui vengono affrontati tali problemi deve favorire tutti gli utenti e non solo alcuni che, soggetti a particolare tutela per interessi aziendali, non si sono visti rimuovere subito i contenuti, rimasti invece online a far danno nel momento in cui erano più virali, sino a quando qualcuno li ha poi esaminati.
Gli attori statali, viene precisato, possono continuare a essere ammessi al programma di controllo incrociato, ma senza preferenze speciali e solo sulla base di “criteri pubblicamente disponibili“. Dovrebbe esservi, poi, un “approccio più sistematico all’ammissibilità” posto che “gli utenti i cui contenuti potrebbero essere importanti dal punto di vista dei diritti umani, come giornalisti e organizzazioni della società civile, hanno a disposizione percorsi meno chiari per accedere al programma“. Infine, andrebbe osservata una maggior trasparenza, fornendo a utenti e pubblico più dati per comprendere le conseguenze del programma di controllo incrociato, raccogliendo più metriche, in modo da comprendere le criticità di tale programma e capire se effettivamente apporti un valore aggiunto.
Infine, un altro grattacapo per Meta, riguardo alle notizie. Nelle scorse ore, Andy Stone, portavoce di Facebook, ha fatto sapere che se al Congresso USA dovesse passare la proposta di legge caldeggiata dalla News Media Alliance, che tutela i piccoli e medi editori nei confronti dei colossi hi-tech come Alphabet di Google e Meta di Facebook, il social potrebbe rinunciare sul suo feed alle notizie diffuse dagli editori nell’area geografica degli Stati Uniti (all’insegna di un caso che ricorda quanto avvenuto in Australia nel 2020, con conseguente retromarcia dei legislatori locali). Nello specifico, secondo Menlo Park, la proposta di legge in questione non tiene conto “dei vantaggi (o presunti tali) che (in termini di traffico e visibilità – ndr) già le aziende digitali distribuirebbero agli editori“.