Quella che si è appena conclusa è stata una settimana tra le più importanti in assoluto per Facebook che, dopo la maxi multa ricevuta, ha pubblicato i dati della seconda trimestrale del 2019, confrontandosi nel contempo con una nuova ridda di attacchi, provenienti sia dalle istituzioni che dal “fronte interno”: il tutto, mentre venivano annunciate nuove iniziative su temi scottanti.
Queste ultime, nello specifico, riguarderanno la privacy, i contenuti rimossi (suscettibili di appello) e da rimuovere (in quanto violazioni delle policy d’uso), e le ingerenze (in particolar modo russe) negli affari interni di altre nazioni.
La Borsa festeggia l’ottima trimestrale di Facebook
Nonostante la maxi multa, da 5 miliardi di dollari, comminata a Facebook a conclusione delle indagini sul caso Cambridge Analytica, il titolo è volato in Borsa, nelle recenti contrattazioni after hours a Wall Street, con un + 3.34% dovuto a un secondo trimestre del 2019 particolarmente confortante, col numero degli utenti mensili del social salito a 2.41 miliardi (2.7 considerando anche tutte le app gestite), quello degli utenti attivi quotidianamente, ora pari a 1.59 miliardi, salito dell’8%, e un fatturato di 16.7 miliardi di dollari, superiore alle ipotesi degli analisti, con un utile netto azionario di 1.99 dollari finali vs 1.88 dollari attesi.
Un ulteriore motivo di tranquillità per gli investitori è stato il fatto che, nonostante la peggior violazione della privacy avvenuta in casa FB, il colosso di Menlo Park se la sia cavata con una frazione del suo reddito annuale del 2018, in pratica dovendo rinunciare a una sola mensilità di entrate.
Le proteste dell’Electronic Privacy Information Center e degli utenti
Normale, quindi, che siano arrivate proteste da più parti, in merito a un accordo sanzionatorio che, in sostanza, mette Facebook al riparo anche da varie ripercussioni legali per le violazioni commesse: è di questo parere l’EPIC (Electronic Privacy Information Center) secondo il quale col patteggiamento tra FTC (Federal Trade Commission) e Facebook andranno a decadere anche 26 mila reclami presentati presso il FTC proprio per questioni di mancata tutela della privacy.
Anche gli utenti comuni, oltre alle istituzioni non governative, hanno palesato – di recente – le loro perplessità in merito a Facebook, facendo entrare in tendenza su Twitter l’hashtag #AndThatsWhyIHateFacebook: nella maggior parte dei casi, alcune critiche sono andate all’eccesivo esibizionismo di chi mira a comparire nel NewsFeed, con condivisioni di foto che non rappresenterebbero neppure la realtà della vita personale. In altri casi, però, le osservazioni hanno riguardato il modo di gestire i dati personali, con preoccupazioni circa la manipolazione politica o commerciale che potrebbe derivarne.
I propositi belligeranti dell’ex co-fondatore Chris Huges e delle autorità australiane
Peggio ancora andrebbe, secondo il New York Times, con l’ex co-fondatore del social in blu, l’informatico e miliardario Chris Huges che, nel corso di colloqui col dipartimento di Giustizia americano e la FTC, avrebbe consigliato loro di smantellare il social, in ottica antitrust, visto che, dopo le tante acquisizioni di carattere difensivo messe in piedi nel corso degli anni, avrebbe raggiunto una posizione di mercato che altererebbe la libera concorrenza.
Il tema della concorrenza sembra molto sentito anche in Australia ove il ministro delle finanze, Josh Frydenberg, ha anticipato un rapporto della locale autorità per la concorrenza, la ACCC (Australian Competition and Consumer Commission) che, tra i vari consigli forniti alle autorità, richiederebbe di potenziare le normative sulla riservatezza, di regolamentare in che modo i colossi online traggono profitti dai dati degli utenti, il cui valore supera – ormai – quello del petrolio (come spiegato nel documentario Netflix “The Great Hack – Privacy violata”), e di stabilire un regolamento che imponga di mettere i servizi informativi tutti sullo stesso piano di equità informandoli del cambio all’algoritmo che presiede al ranking delle news. Inoltre, nel report presentato dall’ACCC figurerebbe anche l’istituzione di una divisione che, per 5 anni, potrebbe condurre inchieste pubbliche (tra cui una sulla trasparenza nel mercato delle inserzioni pubblicitarie) contro i giganti della Rete, nel corso delle quali sarebbe possibile obbligarli a fornire tutte le informazioni ritenute necessarie.
Iniziative di Facebook in tema di privacy e contrasto alle ingerenze straniere
Intanto, qualcosa inizia a smuoversi, a Menlo Park, dopo la (maxi) multa di 5 miliardi di dollari ricevuta. Mark Zuckerberg, nel corso di un incontro con i suoi dipendenti, ha spiegato che il patteggiamento con la FTC porterà a una revisione di tutti gli strumenti già in essere e, nel progettare dei nuovi prodotti, a seguire un approccio differente (analizzarne i potenziali rischi e gli strumenti per mitigarne l’impatto), consci che – non facendolo, pur potendo avanzare più celermente nel rilasciare nuovi servizi e prodotti – si incorrerebbero in responsabilità di cui rispondere. Nel corso del medesimo incontro, poi, è stato pre-annunciata la costituzione di una nuova figura, per altro richiesta dal GDPR europeo, quella del Chief Privacy Officer for Products.
Tra le altre misure che verranno introdotte nel prossimo futuro da Facebook, figurerà (entro fine anno) quella della Corte d’appello contro i contenuti rimossi e la presentazione di rapporti trimestrali pubblici sul contrasto ai contenuti che violano le policy d’uso, su quelli dell’hate speaching, del cyberbullismo, e delle interferenze straniere. A proposito di quest’ultime, è intervenuto il capo della sicurezza del social, Nathaniel Gleicher, il quale ha rivelato, con un post, come siano stati chiusi numerosi account, gruppi, e Pagine, operativi da Thailandia, Honduras, Ucraina, e Russia, che – in sostanza – nell’occultare cosa facevano e chi erano in realtà, mettevano in atto comportamenti coordinati ritenuti “non autentici“.