Sembrerà un paradosso, eppure mentre si fa largo la richiesta di una maggior attenzione all’impatto ambientale, di pari passo crescono anche i consumi di combustibili fossili. Sotto questo punto di vista, il 2018 segna un nuovo record negativo, certificato anche dall’AIE, l’Agenzia Internazionale dell’Energia.
Per l’organizzazione intergovernativa fondata nel 1974 e con sede a Parigi, i gas serra provocati dalla combustione del carbone e delle altre fonti non rinnovabili, non accennano affatto a diminuire, anzi, nel 2018 la domanda di energia su scala planetaria è aumentata del 2,3%, una percentuale quasi doppia rispetto alla media del decennio precedente.
A destare particolare preoccupazione sono due considerazioni: in primo luogo le energie rinnovabili, seppur in costante ascesa, non sono ancora in grado di assecondare il 50% dell’energia prodotta dai nuovi impianti elettrici. In secondo luogo si scopre che il 20% dell’enorme crescita di consumi è da attribuire alla maggior necessità di riscaldare e raffreddare gli edifici.
Tutto ciò si è tradotto in un nuovo primato di emissioni di CO2, attribuibile per lo più all’India, alla Cina e agli Stati Uniti. La prima economia mondiale ha infatti aumentato del 3,1% le emissioni di gas serra, dimostrandosi una realtà particolarmente energivora. Per far fronte alle esigenze nazionali, il Paese ha dovuto incrementare il consumo di gas (+10,5%) e di petrolio (+2,7%). Giappone ed Europa si sono invece dimostrati più virtuosi, segno che alcune politiche volte a contrastare il cambiamento climatico stanno dando i loro frutti.
Ad ogni modo a non far dormire sonni tranquilli troviamo il carbone. Secondo le stime dell’AIE, un terzo delle emissioni complessive è riconducibile a questa fonte energetica, da sola responsabile dell’aumento delle temperature di 0,3 gradi rispetto all’epoca preindustriale. A continuare ad utilizzarlo troviamo per lo più i paesi asiatici, che anziché decarbonizzare, costruiscono nuove centrali elettriche avvalendosi proprio di questo combustile.