Sebbene l’attenzione dei media sia calamitata dal MWC 2019, che in queste ore, è al “giro di boa”, in vista della chiusura di giovedì 28 Febbraio, non sono mancate delle informazioni riguardanti il più grande social network al mondo, Facebook.
La prima novità in ambito Facebook riguarda la piattaforma Watch, creata come alternativa a YouTube, con aspirazioni al video on demand di Netflix, ed estesa globalmente nel 2018, sino a sbarcare anche su piattaforma desktop: secondo quanto annunciato dalla società, solo il 30% dei 21 spettacoli d’informazione in programmazione (creati da partner quali ABC News, Business Insider, BuzzFeed, e CNN) verranno rinnovati (ovvero rifinanziati) defalcando tutti quelli che vantano scarse visualizzazioni. Oltre alla riduzione del budget in questione, non estesa agli show di altro genere, onde consentire un modello di business più sostenibile, non sarà più Menlo Park a finanziare in toto gli spettacoli, trattenendo i ricavi, e ripartendoli in modo da tenerne per sé il 45%: d’ora innanzi, l’emittente (Facebook) parteciperà alle spese assieme al produttore che, però, potrà vendere autonomamente parte degli spot inclusi negli show.
Intanto, prosegue il confronto tra Facebook e gli opinion maker russi, anche su contenuti come quelli destinati al pubblico giovane: tempo fa, il social – in seguito a un’inchiesta della CNN – aveva sospeso le popolari Pagine “In the NOW”, “Soapbox” (attualità), “Waste-Ed” (ambiente) e “Backthen” (temi storici), editrici di contenuti (spesso video, con 30 milioni di visualizzazioni complessive) in lingua inglese critici verso le scelte di politica estera degli States, e verso i media di oltreoceano, in quanto legate ad un canale, Russia Today, beneficiato da finanziamenti del governo moscovita. In seguito ad una richiesta di revisione della misura, Facebook ha optato per la riabilitazione delle Pagine in questione (controllate da Maffick Media), purché rendano chiaro – nella descrizione – il legame (tramite la sussidiaria Ruptly) – con l’emittente russa.
Facendo seguito ad analoghe iniziative già prese da YouTube, anche Facebook si appresta a dichiarare guerra ai No-Vax. A confermarlo alla CNN, con favorevole accoglimento da parte di Art Caplan, responsabile per la divisione “Etica Medica” della New York University, è una fonte anonima interna al social, secondo la quale Menlo Park non chiuderà i gruppi dei No-Vax, ma li sfavorirà cambiando le regole interne sulle inserzioni pubblicitarie, e ne penalizzerà la visibilità nei motori di ricerca interni al social, in modo che le informazioni cospirazioniste sui vaccini vadano in fondo alla sezione News, e che i gruppi dei No-Vax non vengano inclusi tra quelli suggeriti.
Facebook ha avuto sempre caro il progetto di connettere le aree svantaggiate dal pianeta, soggette al digital divide, in quanto tagliate fuori dalla connessione internet. A tal scopo, secondo quanto comunicato al MWC 2019 nel corso di un’intervista a TechCrunch, sta partecipando a vari progetti, in diverse aree del mondo (comprese alcune dell’Europa occidentale): nello specifico, in Perù, si è unita alla banca per lo sviluppo dell’America Latina, a Idb Invest, e Telefonica, nel progetto “Perù Internet para todos” finalizzato a realizzare, nelle aree rurali del paese andino, delle strutture connettive mobili. Mettendo a frutto l’esperienza maturata in Uganda con la posa di cavi in fibra ottica tramite i bacini idrici, il social è intervenuto anche in Nigeria, con l’obiettivo di connettere 1 milione di persone, attraverso la posa di 750 km di fibra.
Infine, la classica polemica settimanale sul social in blu, coinvolto in nuovo scandalo, questa volta ad opera di The Verge. Secondo il portale, che avrebbe raccolto le confessioni anonime dei dipendenti di un centro dell’Arizona, gli addetti alla moderazione, spesso appartenenti a società di terze parti, avrebbero spesso sviluppato condizioni di stress post-traumatico, avendo a che fare con centinaia di contenuti violenti, di natura sessuale, o pedopornografica, per diverse ore al giorno: in alcuni casi, per reggere la tensione e lo stress, alcuni dipendenti avrebbero ammesso la consumazione di rapporti sessuali sul luogo di lavoro, o l’assunzione di droghe leggere. Il tutto, tra l’altro, sarebbe esasperato da paghe annuali molto basse (24/30 mila dollari l’anno), se parametrate con l’alto costo della vita negli USA, e alle ricadute psicologiche sulla propria salute. L’inchiesta, parzialmente confermata da Business Insider, per il quale cui il fattore remunerativo varierebbe a seconda della società di terze parti cui Facebook si è affidata, ha indotto il referente per le operazioni globali di Menlo Park, Justin Osofsky, a dichiarare che si continuerà a monitorare la situazione per questi ruoli (ndr. adibiti alla moderazione), e che – in ogni caso – molto altro verrà fatto, sebbene qualcosa in merito sia stato già messo in atto.