Facebook, secondo quanto emerso nelle ultime ore, sarebbe rimasta coinvolta in una nuova pratica fortemente lesiva della privacy, in virtù di un’applicazione – per Android e iOS – che raccoglieva dati personali in cambio di buoni acquisto del valore di 20 dollari. Apple, venuta a conoscenza del fatto, ha già annunciato delle dure contromisure nei riguardi di Menlo Park.
Nel 2014, Facebook acquisì Onavo, realizzatrice di una VPN (Onavo Protect) ricorrendo alla quale, in teoria, si sarebbe potuto risparmiare del traffico dati venendo, al contempo, protetti durante le navigazioni internet da smartphone: l’app, poi, venne usata – secondo BuzzFeed – anche per conoscere l’apprezzamento degli utenti verso la concorrenza, e fornì quelle preziose statistiche che portarono Zuckerberg ad acquistare WhatsApp. Rinunciato al progetto in questione, il tracciamento delle abitudini personali riprese sotto la forma di un’altra app, Facebook Research, sul conto della quale TechCrunch ha appena pubblicato una corposa inchiesta.
Da quanto emerge, la nuova applicazione tracciante, Facebook Research, veniva pubblicizzata tramite apposite inserzioni che, pubblicate nella rivale Snapchat e nella controllata Instagram, portavano all’installazione dell’app: quest’ultima, tramite una VPN, tracciava il traffico dati degli utenti, in modo da studiarne le abitudini e, in più, tramite l’installazione di un apposito certificato digitale, aveva accesso ad informazioni abitualmente criptate, come la navigazione web, i messaggi privati scambiati, le email, le attività svolte, e la posizione GPS. In alcuni casi, sembra che siano stati eseguiti anche screenshot degli acquisti effettuati su Amazon, ed il tracciamento di utenti che avevano 13 anni di età.
Sempre dall’inchiesta di TechCrunch emerge come Facebook aggirasse i controlli dell’App Store di iOS (che vieta certe pratiche) avvalendosi di uTest, Applause, e BetaBound, applicazioni usualmente utilizzate per consentire il test di nuovi servizi non ancora lanciati.
A seguito della pubblicazione dell’inchiesta, Facebook ha pubblicato una parziale ammissione in merito, dichiarando che, come altre società, conduce delle ricerche di mercato per capire quali settori perfezionare: tuttavia, hanno ribadito a Menlo Park, gli utenti aderivano su base volontaria, venendo remunerati (20 dollari appunto), ed erano informati sulla tipologia di dati raccolti che, comunque, non sono mai stati ceduti a terzi. In più, se pure vi erano dei minorenni (il 5% del totale), si trattava di casi per i quali veniva chiesto il consenso dei genitori.
Nonostante tali precisazioni, Apple è comunque corsa ai ripari, avendo ravvisato una violazione del programma che disciplina le collaborazioni aziendali, con contromisure molto dure nei riguardi di Facebook. Nello specifico, a Cupertino hanno revocato i certificati che Facebook sfruttava per distribuire sugli iPhone e gli iPad dei dipendenti di Apple le sue applicazioni aziendali (tra cui una finalizzata alla gestione dei trasporti), con la conseguenza anche che, su detti device, è impossibile installare ed avviare le versioni sperimentali di applicazioni popolari, quali Messenger e Instagram.