Facebook, il celebre social network da circa 2 miliardi di utenti, ha portato la sua sezione di video on demand “Facebook Watch”, ormai fruita da 400 milioni di utenti attivi, anche all’assalto dei desktop e dei device datati ma, nello stesso tempo, si è trovata a che fare con una nuova polemica, questa volta incentrata sul come gestisce il rapporto con i controllori di bufale.
Al novero dei giornali che, più o meno regolarmente, bersagliano Facebook, dopo il Wall Street Journal ed il New York Times, si è aggiunto anche il britannico “The Guardian”, che ha riportato le lamentele di alcuni fact-checker, chiamati a controllare e segnalare la presenza di bufale, catene di Sant’Antonio, leggende metropolitane, onde limitarne la diffusione nelle bacheche della piattaforma. Il progetto, varato dopo le presidenziali USA del 2016, si è basato sulla collaborazione di grossi nomi come Snopes (attiva da oltre 20 anni nella verifica delle notizie), Associated Press, Weekly Standard, PolitiFact e, per l’Italia, Pagella Politica, con risultati non sempre tangibili.
Alcuni dei giornalisti coinvolti nella collaborazione, come l’ex managing editor di Snopes, Brooke Binkowski (dal Luglio 2018 licenziata e passata a guidare un sito personale di debunking), hanno dichiarato che Facebook non avrebbe fornito dei feedback sull’entità dello sforzo profuso dai controllori, impedendo loro di farsi un’idea sull’effettivo impatto del lavoro svolto. Questo perché, in sostanza, queste collaborazioni sarebbero state usate da Facebook per una questione d’immagine, per uscire dalla crisi millantando la messa in campo di contromisure virtuose: in più, secondo la Binkowski – che ha preso ad esempio il caso dei mussulmani Rohingya (perseguitati dal governo birmano) – vi sarebbe anche il concreto sospetto che Facebook si occupi – come parte del proprio modello di business – di diffondere bufale su incarico di governi stranieri ostili e regimi autoritari . Un po’ quello che ha sostenuto anche un altro professionista, tenutosi anonimo, secondo il quale sarebbe ben difficile collaborare col social che, col caso Soros segnalato dal NYT, ha diffuso proprio quelle bufale che loro stessi sono chiamati ad individuare.
Facebook, naturalmente, ha risposto puntualmente a quanto le veniva imputato. Da una parte ha ammesso di essere consapevole che alcuni partner desiderino un maggior riscontro sul loro impegno di cacciatori di bufale e, per tale motivo, ha già preso a distribuire, ogni tre mesi, report dettagliati per ogni partner, con previsione di far di meglio nel 2019. In più, da Menlo Park fanno presente, con una certa eleganza, che “il modo principale attraverso cui portano a galla delle potenziali bufale è il machine learning” (non, quindi, il fattore umano).
Dulcis in fundo, per l’entità delle implementazioni previste, le novità relative a Facebook Watch, la piattaforma televisiva “in-app” creata dal social, e già arricchita di serie tv inedite (le “Facebook Originals”, con Huda Boss, Sacred Lies, Five Points, e Sorry For Your Loss che – verosimilmente – verranno rifinanziate per la seconda stagione di fila): il team di Zuckerberg ha comunicato che tale progetto ha raggiunto il traguardo di 75 milioni di utenti che, ogni giorno, vi guardano almeno 1 minuto di contenuti e che, per estendere tale platea, Facebook Watch sbarca anche su desktop e nello spin-off Facebook Lite. In più, sono state previste anche delle iniziative per incrementare i comunque cospicui 400 milioni di utenti attivi al mese: in tal senso, Facebook – che già a Settembre aveva attivato il sistema “In-Stream” per semplificare l’inserimento di inserzioni nei contenuti ad alta qualità di Watch, e che prima ancora aveva esteso a 40 paesi il sistema “Ad Break” per l’inserimento degli spot nei video – ora ha esteso a più paesi il programma “Brand Collabs Manager” che permetterà ai creators di guadagnare realizzando contenuti sponsorizzati per conto dei grossi brand.