Nel nostro Paese, la dipendenza da cocaina, amfetamine ed ecstasy interessa circa il 2-4% della popolazione. Inoltre secondo gli ultimi dati raccolti dall’Osservatorio Adolescenti di Telefono Azzurro e DoxaKids, il 13% dei ragazzi intervistati fa uso di droghe, senza distinzione tra “leggere” e “pesanti”, e più del 50% di essi conosce almeno una persona che ne fa uso.
Come riportato dalla famosa rivista E-Life, un gruppo di ricercatori dell’Università di Cardiff (Gran Bretagna) e dell’Istituto Centrale di Salute Mentale di Mannheim (Germania), in collaborazione con l’Irccs Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Milano, ha fatto una straordinaria e inaspettata scoperta: una molecola, denominata Pd325901, attualmente in sperimentazione come farmaco antitumorale, bloccherebbe, con una sola assunzione, la dipendenza dalla cocaina, una delle droghe con effetti più devastanti sul cervello.
È opportuno però a questo punto fare un approfondimento su come reagisce il cervello quando assumiamo cocaina. Un ruolo cruciale nelle dipendenze è svolto dalla dopamina, uno dei neurotrasmettitori più presenti a livello cerebrale, che regola le sensazioni di appagamento e di ricompensa; essa infatti, quando viene rilasciata dai neuroni, attiva una risposta, ovvero una sensazione di benessere, di piacere. Generalmente, la dopamina viene poi “riciclata” per tornare allo stato normale; è proprio questo passaggio che viene bloccato dalla cocaina, causando un aumento del livello di dopamina libera tra le terminazioni neuronali del cervello e quindi un aumento della durata della sensazione di benessere (più tempo rimane, più l’individuo si sente appagato). Il farmaco antitumorale in questione sarebbe in grado di rompere proprio questo blocco.
Uno di ricercatori dell’Università di Cardiff, Riccardo Brambilla, ha dichiarato: “Attualmente non è disponibile un farmaco capace di bloccare la dipendenza da cocaina”.
I ricercatori hanno inoltre spiegato: “Utilizzare un medicinale che ha già superato alcune fasi cliniche può consentire l’avvio di un trasferimento più rapido dal laboratorio alla clinica”.