L’infezione da virus dell’epatite C (HCV) rappresenta un’importante emergenza sanitaria in Italia, dove si registrano circa 1,5 milioni di persone infette, e in tutto il mondo, in cui si stimano 170 milioni di malati. La malattia, che si trasmette principalmente mediante contatto diretto con sangue infetto, può risolversi in poche settimane o portare a una cronicizzazione dell’infezione nelle cellule del fegato umano, dove si localizza, determinando lo sviluppo di importanti complicanze come la cirrosi epatica e il carcinoma epatico. Allo stato attuale si conoscono sei diversi genotipi dell’HCV e differenti sottotipi all’interno dei vari genotipi: il tipo 1 è il più diffuso in Italia, dove causa più del 50%, seguito dal tipo 2 (30%).
Negli ultimi mesi, l’introduzione di una nuova molecola sta destando notevole entusiasmo tra gli specialisti del settore. La molecola, denominata sofosbuvir, agisce bloccando la replicazione inibendo la RNA polimerasi RNA-dipendente grazie al quale il virus si replica a velocità molto elevata.
Il sofosbuvir promette un notevole passo in avanti nel trattamento dell’infezione in quanto si è dimostrato efficace anche contro i ceppi più resistenti. “Associato ad altri farmaci, a seconda dei casi, sta dando risultati impensabili fino a pochi mesi fa: è una vera rivoluzione. – spiega l’epatologo Gaetano Ideo – Nel genotipo 2 si sono ottenute dapprima guarigioni nel 93% dei casi usandolo con la vecchia ribavirina. Nel genotipo 1 con lo stesso schema terapeutico i risultati sono discreti, ma associandolo con un altro nuovo antivirale (daclatasvir o ledipasvir) si è arrivati al 90-100% di successi in 8-12 settimane di trattamento. In pratica significa la vittoria sulla malattia”.
Approvata a Dicembre 2013 dalla Food and Drug Administration negli Stati Uniti, grazie ai risultati positivi ottenuti su quattro trial clinici effettuati, e a metà Gennaio 2014 anche dall’Ente Europeo del Farmaco, presto la molecola sarà autorizzata sul mercato italiano dall’AIFA.
Esiste, tuttavia, ancora un ostacolo da superare per rendere disponibile a tutti l’accesso alla nuova terapia, ed è l’abbattimento del costo del farmaco. Infatti, l’industria farmaceutica californiana Gilead Sciences ha acquistato il brevetto della molecola per la cifra record di 12,5 miliardi di dollari e il costo di ogni singola pillola si aggira attorno ai 1000 dollari (circa 730 euro). “Il prezzo è in linea con il mercato – fanno sapere dalla Gilead Sciences – anzi se confrontato con altri concorrenti che sono meno efficaci e innovativi è persino basso. Cercheremo poi di attuare dei programmi per aiutare i malati che non hanno i mezzi”.
Considerando che il ciclo di terapia consigliato è di una pillola al giorno per 12 settimane, il costo base del nuovo trattamento si aggira sui 28000 dollari e arriva all’incredibile cifra di 168000 dollari per sconfiggere, in 24 settimane, le infezioni più resistenti. È ovvio che tutto questo porterà nuovamente ad aprire l’aspro dibattito sull’accesso alle cure nei paesi dove i fondi per la salute sono pochi a fronte di un alto tasso di infezioni.