Sembra funzionare la terapia ad ultrasuoni messa a punto in Australia, allo scopo di ripristinare la memoria cancellata dal morbo di Alzheimer. La scoperta arriva dall’Università del Queensland, dove un’equipe di ricercatori è riuscita a conseguire un risultato a dir poco straordinario: gli studiosi hanno infatti scoperto che un utilizzo specifico degli ultrasuoni è in grado di ripristinare la memoria perduta nei pazienti malati di Alzheimer. I risultati sui test effettuati sui topi sono stati particolarmente soddisfacenti, al punto che grazie ai cosiddetti fasci ultrasonici, i ricercatori sono riusciti ad eliminare circa il 75% dei depositi che tendono ad accumularsi nell’encefalo, chiamati placche amiloidi.
Queste placche, interferendo con il corretto funzionamento dei neuroni, compromettono inevitabilmente la memoria dei pazienti colpiti dalla malattia. L’eliminazione di questi depositi nocivi è stata effettuata con successo mediante la stimolazione delle microglia, cellule immunitarie che, una volta rese attive, fagocitano le placche amiloidi, liberando così i neuroni dalla loro presenza nociva. I test sono stati effettuati mediante l’inoculazione nelle cavie di microbolle di gas rivestite di grasso, dal diametro pari ad un ventesimo di quello di un capello umano, le quali sono state successivamente attivate mediante l’utilizzo degli ultrasuoni. Lo scopo del test era quello di farsi strada nella barriera emato-encefalica (BEE), senza tuttavia danneggiarla in maniera permanente.
La barriera emato-encefalica ha la funzione di proteggere il tessuto cerebrale dalle sostanze potenzialmente nocive, e lascia passare unicamente le sostanze utili alle funzioni metaboliche cerebrali. Aprendovi una breccia temporanea, i ricercatori sono in grado di permettere al sistema immunitario di accedere al cervello liberamente. Ma se la terapia è stata messa a punto in Australia, la sua ideazione ha invece origini canadesi. Il suo ideatore è infatti il biofisico Kullervo Hynynen, dell’istituto di ricerca Sunnybrook di Toronto. Il padre della terapia ad ultrasuoni ha affermato, in merito alla sua intuizione che: “Rivoluzionerà il modo di curare le malattie cerebrali”.
I test effettuati dai ricercatori dell’Università del Queensland hanno fornito indicazioni confortanti: dopo essere stati sottoposti ad esposizioni agli ultrasuoni per sette settimane, i roditori hanno infatti mostrato evidenti miglioramenti. Prima le cavie non erano in grado di orientarsi all’interno del labirinto, mentre a cura ultimata riuscivano ad uscire da quest’ultimo, ed a raggiungere la ricompensa.
Alcuni scienziati si sono però dimostrati particolarmente critici, ricordando quanto sia difficile che gli ottimi risultati conseguiti nei test sui roditori possano tradursi in risultati altrettanto soddisfacenti, una volta dato il via alla sperimentazione umana. Inoltre, hanno sollevato preoccupazioni riguardo al bombardamento del cervello con gli ultrasuoni, benché a bassa intensità. In particolare Brian Backsai, neurologo del Massachussets General Hospital di Boston, ha affermato che aprire la barriera emato-encefalica potrebbe portare ad una reazione immunitaria eccessiva, o causare pericolose emorragie. Backsai è considerato una voce eminente nella lotta all’Alzheimer all’interno della comunità scientifica, e nel corso della sua carriera ha più volte collaborato con lo stesso Hynynen.
Solo mediante la corretta e precisissima apertura di questa barriera è infatti possibile che la terapia funzioni, senza incorrere in spiacevoli effetti collaterali. Una sfida che Kullervo Hynynen, i ricercatori australiani e tutti gli altri medici impegnati nello sviluppo di questa innovativa terapia sono chiamati a vincere, per regalare ai malati di Alzheimer una nuova speranza per una vita migliore.