Facebook, da tempo interessata all’intelligenza artificiale, potrebbe varare un suo assistente digitale, per competere con Siri e Google Assistant: ciò anche a prescindere dall’esito che avranno i nuovi scandali che hanno investito la piattaforma, a proposito di un “parziale” uso dei dati personali, e di nuovi problemi sulla privacy. Senza dimenticare le polemiche destate da alcuni ex collaboratori.
Come noto, Facebook ha varato ben due display smart, i Portal e Portal+, implementati con i servizi del social network: ai prodotti in questione, tuttavia, manca l’anima software di un maggiordomo virtuale che, però, potrebbe presto arrivare. A sostenerlo è il network di notizie economiche CNBC che, in tal senso, ha raccolto le testimonianze di alcuni ex dipendenti: questi ultimi avrebbero riferito di un team, incaricato di progetti a lungo termine, tra cui il visore VR Oculus Rift, che – nella sede di Redmond, non lontano dalla capitale degli States – starebbe lavorando all’identità digitale in blu, da integrare negli smart speaker, come confermato dai contatti avviati con alcuni produttori degli stessi.
Nell’iniziativa, coordinata dal responsabile AR/VR del gruppo, Ira Snyder, potrebbe rientrare il know how maturato con lo sfortunato M, il bot AI introdotto nel 2015 per supportare gli utenti nelle conversazioni via Messenger, defalcato per scarso successo nel 2018: ulteriori dettagli potrebbero arrivare nel corso della conferenza per sviluppatori F8 del 30 Aprile.
Nel frattempo che Facebook concretizzi il suo assistente virtuale, è destinato a far discutere quanto rivelato dall’emittente americana NBC News, venuta in possesso di 4.000 documenti, raccolti tra il 2011 ed il 2015, formati da presentazioni, fogli di calcolo, mail e chat, in base alle quali emergerebbe come i senior executive di Menlo Park, tra cui il CEO Zuckerberg ed il suo braccio destro Sheryl Sandberg, abbiano pensato di usare i dati degli utenti, e degli amici di questi ultimi, per ostacolare le aziende rivali ed agevolare quelle amiche, formate da programmatori con cui si era in stretti rapporti, o da colossi che, come Amazon, investivano molto in Facebook ads.
I documenti menzionati da NBC, relativi alla causa tra la software house Six4Three e Facebook, accusata di aver penalizzato la sua applicazione Pikinis nell’accesso ai dati degli utenti, erano già parzialmente (400 del totale) circolati in passato, destando la replica di Facebook che, in quell’occasione, aveva parlato di documenti parziali, decontestualizzanti e fuorvianti, anche alla luce degli importanti cambiamenti, per la tutela degli utenti, messi in atto tra il 2014 ed il 2015.
Al momento non è chiaro se le contromisure accennate da Facebook basteranno ad evitarle le attenzioni dell’antitrust, che potrebbe aprire un’indagine sulla vicenda, come ipotizzato da Jason Kint, rappresentante di un trust di editori digitali: quello che è certo, per stessa ammissione di Facebook, è quanto accaduto dal Maggio 2016 a qualche settimana fa, prima che il social vi ponesse rimedio. In pratica, quando un utente registrava il proprio account, in alcuni casi veniva chiesta la sua password di posta elettronica e, con questa – senza che gli users ne fossero consapevoli – venivano forniti al social i contatti delle varie rubriche personali.
In questo modo, Menlo Park – costituito un database relazionale – (oltre agli eventuali usi non confermati quanto a targeting pubblicitario) riusciva a suggerire ai neo iscritti delle potenziali amicizie da aggiungere sul social: un portavoce del colosso americano ha confermato che ciò è accaduto, per un errore involontario, coinvolgendo 1.5 milioni di persone che, però, sono state prontamente contattate in questi giorni. In ogni caso le informazioni raccolte, in corso di cancellazione, non sarebbero mai state condivise, e gli utenti possono sempre gestire, attraverso le impostazioni, i contatti condivisi con la piattaforma.
Piattaforma sulla quale è piovuto anche il servizio della versione americana di Wired, secondo la quale i co-fondatori di Instagram, Mike Krieger e Kevin Systrom, venduta la loro creatura a Zuckerberg nel 2012 (per 1 miliardo di dollari), non avrebbero gradito la visione social centrica di quest’ultimo, che avrebbe smesso di supportare l’esportazione di convenuti anche sull’app di photo-sharing, preferendo che gli utenti rimanessero attivi sul social network. Da qui, la decisione dei due di abbandonare Menlo Park per progetti alternativi.