Qualche giorno fa abbiamo visto come fosse partita una pericolosa campagna di phishing, nel web, avente per oggetto dei fantomatici occhiali Ray-Ban venduti con sconti dell’85% (a meno di 20 dollari!). Episodi del genere, a quanto pare, non sarebbero affatto rari e troverebbero, ultimamente nei social network, linfa vitale.
A rivelare questa realtà è stata una recente inchiesta, pubblicata sul Washington Post, secondo la quale il giro d’affari della falsificazione dei marchi famosi frutterebbe – ai truffatori – qualcosa come 1800 miliardi di dollari e comporterebbe – per i detentori dei marchi coinvolti – una perdita di 17 miliardi come mancati introiti (oltre a 363.000 posti di lavoro persi nel settore, e 500.000 posti persi nell’indotto).
In base a tale ricerca, condotta dall’analista Paolo Stroppa usando un particolare algoritmo comportamentale, la truffa partirebbe da siti web del tutto simili a quelli dei grandi marchi e sfrutterebbe vere e propria campagne di marketing basate su un uso massiccio dei social. Tra questi ultimi, quello più infarcito di prodotti falsi sarebbe proprio Instagram (della famiglia Facebook).
Sul social, divenuto famoso per la condivisione di foto e selfie, sarebbero stati scovati 150 mila post afferenti grandi marchi (#LouisVuitton, #Chanel, #Prada, #Fendi, #Gucci) con una percentuale di prodotti falsi – sul totale – davvero spaventosa: ben 1 prodotto su cinque sarebbe falso.
Una volta carpita la fiducia dell’utente tramite delle campagne ad eventi, il contatto si sposterebbe sui messenger criptati (Telegram e Whatsapp) ed il pagamento finale avverrebbe tramite strumenti per il peer to peer finanziario, come Paypal. A quel punto scatterebbe l’invio della merce, quasi solitamente dalla Cina, territorio al quale farebbero riferimento anche la quasi totalità degli account truffaldini scovati.
Pechino, a tal proposito, ha assicurato di aver già intrapreso delle misure per combattere il commercio di prodotti contraffatti: di recente, infatti, sarebbero stati chiusi circa 7000 account di prodotti falsi sul messenger leader per quelle latitudini, WeChat. Sforzo vano, purtroppo: il dottor Stroppa, infatti, precisa che raramente vi sono persone reali a gestire questi account: spesso di tratta di bot che sparano post truffaldini 24 ore su 24, 7 giorni su 7 e, quando una rete di account viene bloccata o chiusa, il referente della medesima ci mette davvero poco a metterne in piedi un’altra, altrettanto efficiente.