C’erano una volta Riccardo Fogli, Viola Valentino, i Pooh, Albano e Romina Power. Adesso al Festival di Saremo c’è Achille Lauro, un cantante pittoresco e blasfemo che non piace a don Fabrizio Gatta, ex conduttore Rai e ora vice parroco a Sanremo, che ha stigmatizzato il look, la canzone e le pantomime messe in atto dal cantante veneto sul palco dell’Ariston.
Don Fabrizio Gatta ha criticato Lauro dopo la messinscena del suo battesimo. Lo ha definito un coniglio che recita la parte del leone con i simboli del cattolicesimo, esibendosi in provocazioni velleitarie che hanno il solo scopo di far parlare di sé. Come fece durante il Festival del 2019, quando si esibì in un bacio gay scambiato con il chitarrista. Quale messaggio voglia veicolare Lauro è facile capirlo. Ma don Gatta va oltre le esibizioni filo-omosessuali per concentrarsi sulla canzone di Lauro, Domenica, ritenendola identica a quella del 2019, Roll Royce. Un brano senza senso e senza significato, tanto che la sala stampa l’ha posta in fondo alla classifica, come segno del suo scarso valore musicale.
Le parole di don Gatta fanno il paio con quelle di Mario Adinolfi e Simone Pillol che su Twitter hanno definito i protagonisti della gara canora “omosessuali, fluidi, mezzi nudi e sacrileghi”, con riferimento soprattutto a Lauro. Un circo televisivo dove non contano più le canzoni più significativi, ma gli artisti più trasgressivi. Un vero e proprio teatro degli orrori che Adinolfi, fondatore del Partito della Famiglia, ha descritto così: “Una volta Sanremo era lo specchio del Paese. Ora pare un manicomio dove sono tutti omosessuali o “fluidi” e vanno in giro mezzi nudi e coi capelli pitturati manco fossimo tribù cheyenne”.
Don Fabrizio Gatta tira le orecchie anche ad Amadeus, accusandolo di aver permesso comportamenti profani anziché richiamare Lauro alla moderazione e al rispetto verso chi ha idee diverse dalle sue. Ma tanto si sa che l’audience è l’unico sacramento riconosciuto dalle emittenti televisive e dalle case discografiche. A Fabrizio Gatta è piaciuto soprattutto Massimo Ranieri, autore di una sacralità musicale che non si può paragonare alla volgarità di Lauro. Per Gatta, Ranieri ha cantato una preghiera profonda, meravigliosa, che si rivolge a tutti i disperati, ai migranti. Un testo che non ha nulla a che vedere con Achille Lauro che si tocca i genitali.
Dal canto suo Amadeus ha voluto replicare così alle critiche piovute sul Lauro: “Non mi sono sentito turbato dall’esibizione di Achille Lauro. Un artista deve potersi esprimere liberamente, altrimenti i giovani lontani non solo dal festival ma anche dalla chiesa”, ha detto il presentatore in sala stampa. Sulla stessa linea anche il direttore di rete Stefano Coletta: “Non c’è mai la volontà di veicolare trasgressioni”, ha chiarito, sottolineando come l’attenzione sia volta “a proporre un prodotto artisticamente valido”.