Molto spesso, nello stilare un percorso tramite Google Maps, si mira a ottimizzare i tempi, per raggiungere la propria meta evitando possibili ingorghi: proprio questi ultimi, curiosamente, si sono legati profondamente all’uso di Google Maps, in virtù di una ricerca accademica, e del test di un artista concettuale berlinese.
Nei giorni scorsi, la ricercatrice Valentina Morandi, della facoltà di Scienze e Tecnologie dell’Università di Bolzano, ed i colleghi Maria Grazia Speranza ed Enrico Angelelli dell’Università di Brescia, hanno pubblicato un modello matematico, che spiega come annullare il pericolo del traffico, con relativa diminuzione dello smog, e tempo risparmiato per tutti, ingannando gli utenti che utilizzano sistemi di navigazione GPS based, tra cui proprio Google Maps.
Nell’esperimento condotto, la cui portata però è ridimensionata dal fatto che i vari sistemi di geo-navigazione via GPS (es. le Google Maps o le Tom Tom Maps degli smartphone Huawei) non dialogano tra loro, agli utenti non veniva proposto necessariamente il percorso più corto, ma era offerto un ventaglio di proposte alternative, solo leggermente più lunghe di quella migliore (ad es. con un ritardo di 1 minuto su un percorso di mezzora), col risultato che il tutto si traduceva, per paradosso, in un tempo complessivamente risparmiato per tutti, a cagione dell’ingorgo in siffatto modo evitato.
Proprio il traffico e gli ingorghi sono stati alla base dell’installazione itinerante dell’artista tedesco Simon Weckert che, per le strade di Berlino, ha portato con sé, muovendosi al centro della carreggiata per meglio ingannare il GPS di Maps, un carrettino trainato a mano con, al suo interno, 99 smartphone usati ma accesi, con tanto di SIM e di aggancio al sistema GPS.
Quest’ultimo, debitamente confuso, ha sintetizzato l’insolita dotazione dell’uomo come fossero 99 conducenti di auto che si muovevano a passo d’uomo nella stessa strada e, di conseguenza, su Google Maps, ha settato sul rosso di ingorgo strade che nella realtà erano libere, aiutando il giovane Weckert a dimostrare l’assunto secondo cui vi è spesso una discrepanza tra la realtà percepita dai nuovi strumenti digitali e quella concreta.