Nella fresca aria di una Genova che si prepara a vivere un altro inverno, il cantautore Gino Paoli si concede senza filtri, in un’intervista che sa di confidenza e verità. Ospite del podcast Tintoria, Paoli apre il suo cuore e la sua mente sul Festival di Sanremo, un evento che per decenni ha rappresentato il cuore pulsante della musica italiana, ma che secondo lui ha perso la sua essenza originaria.
“No, non guardo Sanremo“, esordisce Paoli, con quella franchezza che lo ha sempre contraddistinto, sia nella vita che nelle sue canzoni. Un tempo, spiega, il Festival era una celebrazione della canzone in sé, dove l’importante non era chi la cantasse, ma la qualità e l’originalità della musica. Era un momento di pura espressione artistica, in cui nuove melodie e testi potevano trovare spazio e risonanza nazionale.
Tuttavia, con il passare degli anni, le dinamiche dietro il Festival di Sanremo sono cambiate radicalmente. Le case discografiche, realizzando il potenziale promozionale dell’evento, hanno iniziato a vedere Sanremo non più come un palco per l’arte, ma come un trampolino di lancio per “prodotti finiti“, artisti e canzoni già pacchettizzati e pronti per il mercato. Questo cambiamento ha, secondo Paoli, snaturato lo spirito originale del Festival, trasformandolo in uno spettacolo dove prevalgono logiche commerciali e di marketing.
La critica di Paoli non si ferma alle sole case discografiche, ma si estende anche al ruolo della televisione. “Da lì la tv si accorge che lo spettacolo di Sanremo funziona, arriva non solo in Italia ma anche fuori“, sottolinea il cantautore, evidenziando come l’evento sia diventato un prodotto mediatico di vasta portata. Questo ha portato, a suo dire, a un’ulteriore commercializzazione e spettacolarizzazione del Festival, che avrebbe perso la sua autenticità e il suo valore artistico, trasformandosi in “lo squallido spettacolo che è adesso“.
Le parole di Gino Paoli risuonano come un campanello d’allarme, un invito a riflettere sul significato e sul valore che vogliamo attribuire alla musica e alla cultura in generale. La sua non è solo una critica al Festival di Sanremo, ma un monito più ampio sul rischio che l’arte diventi merce, perdendo di vista la sua funzione più profonda: quella di esprimere emozioni, raccontare storie, ispirare e unire le persone.
In un’epoca in cui l’industria musicale è sempre più dominata da logiche di mercato e da una ricerca incessante del successo commerciale, le parole di Paoli invitano a una pausa di riflessione. Forse è il momento di riscoprire l’arte per quello che dovrebbe essere: un’espressione genuina dell’anima, libera da vincoli e calcoli.