Ascoltando le notizie che provengono dalle fiere dell’elettronica più importanti del mondo (l’Ifa, il WMC, il CES) e quelle che provengono dalle piccole hardware house asiatiche (Huawey, Oppo, Zopo, Ulephone, Xiaomi, ZTE etc…) sembra che gli smartphone e, con essi tutte le tecnologie mobili, stiano facendo davvero grandi progressi.
In effetti è vero: ormai abbiamo schermi che mutuano tecnologie televisive, fotocamere che hanno mandato in pensione gran parte delle compatte fotografiche, schede grafiche degne di una console videoludica…
Ogni tanto, poi, balzano all’occhio novità presunte rivoluzionarie: telefoni con 2 fotocamere posteriori, con fotocamere ruotanti, con schermo ad effetti 3D (ricordate l’Amazon Phone?) e via discorrendo.
Tutto molto bello ed affascinante ma l’unico settore nel quale non si riscontrano mai progressi è quello delle batterie: il mercato dei power bank (le batterie portatili) è un qualcosa di davvero imbarazzante per chi produce una tecnologia mobile.
Proprio per questo motivo, molte aziende del settore implementano i moderni telefoni con tecnologie volte ad aumentare l’autonomia dei loro device. L’ultima, targata addirittura Google, si chiama “Doze” e dovrebbe far durare di più tablet e smartphone Android grazie ad un sistema di stand-by che ricorda molto da vicino il meccanismo dell’app “Juice Defender”: in sostanza il telefono viene “sedato” in termini di connessioni e queste ultime vengono riattivate ogni tanto per sincronizzare le varie app che ne abbisognassero.
Tutto molto bello ma, di certo, non risolutivo. Ad averlo concluso sono stati i ricercatori dell’Università di Purdue che, in collaborazione con la Intel Corp, e la giovane Mobile Enerlytics, hanno testato oltre 2000 Samsung S3 ed S4 con Sim di operatori di varie nazionalità (in modo da ottenere dati non influenzati dalle prestazioni di banda delle connessioni).
Il risultato delle loro ricerche testimonia quanto era facilmente intuibile: il 45,9% della carica svanisce quando lo schermo è spento e nel 28,9% dei casi la colpa è delle applicazioni che, agendo in background, a volte sottraggono il dispositivo al suo stand-by.
La colpa, secondo lo studio in questione, sarebbe del sistema di Wakelock di Android e, per questo motivo, gli autori della ricerca avrebbero sviluppato un meccanismo alternativo chiamato “Hush”. Hush sarebbe una sorta di amministratore intelligente dei nostri device mobili, in grado di capire quali applicazioni vogliamo davvero utilizzare in un dato momento: a queste ultime, e solo a queste, verrebbe impedita l’esecuzione in background.
Risparmio stimato? Sembra che un tale sistema possa recuperare ben il 16% di quanto consumato abitualmente dalle app “zombie” ma che debba fare i conti con i consumi, sempre in background, dei processi di sistema (es. quello che scandaglia la presenza di nuove reti wireless ogni 200 millisecondi).
La meta, insomma, è ben chiara ma la strada sembra ancora molto lunga. Nel frattempo chissà che molti sviluppatori di applicazioni, studiando i risultati di questa ricerca sul portale “Github”, non implementino migliori meccanismi di risparmio all’interno delle loro stesse app, oggi così voraci. Sarebbe già qualcosa!