Ho scoperto dell’esistenza delle “Confessioni di un apprendista ortolano” per caso, leggendone la recensione su una rivista femminile, ma dopo un anno da che l’ho acquistato l’ho già letto tre volte. Non è un romanzo, ma un trattato sulla coltivazione dell’orto, sulla vita vissuta lentamente e a contatto con la natura.
La protagonista è Pia Pera, scrittrice, traduttrice e giornalista, che racconta di come la sua vita è cambiata quando ha deciso di andare a vivere in un vecchio casale di famiglia in lucchesia e di dedicarsi alla coltivazione dell’orto. La cura della terrra diventa per lei terapia e fonte di pace: l’orto è il suo maestro e la cultura biologica la sua dottrina. Partita con l’idea di mettere in pratica gli insegnamenti di Fukuoka, che predica l’arte della non-azione nella cura della terra ma anche come filosofia di vita, arriva ad una sua personalissima concezione dell’orto come amico, confidente, maestro che la porterà ad ideare il progetto chiamato “Orti di pace” (www.ortidipace.org), di cui è ideatrice e responsabile, che è diventato un punto di riferimento dove scambiare informazioni, raccontare esperienze personali, mettere in rete progetti di orti didattici, sociali e terapeutici.
In un’intervista rivela l’origine ed il fine del progetto: “Il senso è multiforme. Da una parte c’è un riferimento a quelli che una volta venivano chiamati “orti di guerra”, creati per pura sopravvivenza, e che mi auguro non abbiano più motivo di esistere. Poi si fa riferimento al coltivare la pace interiore, che predispone alla vita pacifica e alla pace in senso più ampio. L’orto rasserena e aiuta a fare comunità. Magari si inizia col parlare di semi e si finisce col conoscersi meglio. Anche la pluralità di colture è un fattore di pace.”