Il libro "Critica dei morti viventi" in uscita il 13 febbraio

"Critica dei morti viventi. Zombi e cinema, videogiochi, fumetti, filosofia" analizza sotto forma di saggio il fenomeno zombi, i riferimenti culturali, le incursioni innumerevoli nei mass media.

Il libro "Critica dei morti viventi" in uscita il 13 febbraio

“Critica dei morti viventi. Zombi e cinema, videogiochi, fumetti, filosofia” è una raccolta di saggi curata da Cateno Tempio atta ad approfondire il fenomeno zombie che pervade i mass media. 

Il timore che i morti risorgessero dalle proprie tombe era diffuso in tutte le culture antiche, nel Neolitico i cadaveri, chiusi in urne, venivano arsi, o sepolti legati, i Lucumoni etruschi chiudevano i corpi dei defunti in un’apposita intercapedine tra le pareti della loro abitazione, vigilandola constantemente, i Romani avevano raggiunto un accordo con i familiari trapassati accordandoli fino a tre giorni di tempo per circolare liberamente tra i vivi.

I morti viventi sono una metafora filosofica degli esseri umani: mostrandosi nella decomposizione delle carni illustrano la morte ineluttabile a cui siamo destinati. Aristole percepiva il cadavere come un uomo solo per omonimia: gli antichi intravedevano nel trapassato l’essenza della scissione fra la vita e la morte, il ritornante alberga in un limbo che non appartiene nè a l’una nè all’altra. Lo zombi è l’immagine metafisica dell’uomo occidentale: un demente, passivo, che si trascina inconsapevole, seguendo una massa erosa dalle sue stesse esigenze imposte.

Antonio Lucci illustra come nell’origine haitiana dello zombie, nella letargia indotta dai sacerdoti bokor, si intraveda un’espressione del regime schiavista, l’alterego dell’oppresso, dell’uomo perduto nell’infimo anfratto dell’umanità. Lo zombi, un morto che cammina, ricrea se stesso, propaga la propria inutile esistenza, una massa di soggiogati trasformatisi in dittatori, un movimento compatto, corpi uniti in un’unica testa famelica.

Nelle ultime narrazioni è spesso al centro di visioni apocalittiche: un mondo collassato nella propria mutazione, incontrollabile, l’essere non vivente che sostituisce il vivente. Tommaso Moscati nel saggio evidenzia come il ritornante sia l’emblema della diversità, dell’anticonformismo, un paradigma della deformità, della mostruosità repellente.

Livio Marchese illustra il “complesso dello zombie” la malattia che ammorba l’umanità del terzo millennio attraverso fotogrammi cinematografici patogeni capaci di influire sugli stati psichici più profondi, elargendo esaltazione mentale, quanto condizionamenti paralizzanti. Tra gli anni Sessanta e Ottanta il cinema zombi apportava aspre critche nei riguardi della società capitalistica, ove siamo merce, una massa amorfa che il consumismo esige.

In “Dawn of the Dead” ( Zombie nella versione italiana, lievemente diversa nel montaggio di Dario Argento e nella colonna sonora dei Goblin) l’umanità trasformata in zombi reitera il proprio servilismo aggirandosi inebetita in un centro commerciale, perpetrando l’illusione idilliaca del benessere dato dal consumo sfrenato. Romero, già nel finale del film, lascia intendere come l’uomo possa esser ben peggiore della sua mutazione, nelle pellicole seguenti si assiste al sadismo dei militari nel campo base in”Day of the Dead”, ai ricchi potenti, assassini, sbranati vivi da un esercito di zombi in “Land of the Dead”.

La saga romeriana è diametralmente opposta alle derive di spettacolarizzazione fine a se stessa degli ultimi anni: “The Walking Dead” fra morsi definitivi e intrecci amorosi da soap opera, sfoga solamente un’espressione orrorifica autocompiacente.

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