Il sottotitolo della nuova biografia su Elisabetta Vendramini (1790-1860), una francescana con i poveri, riesce a spiegare molto bene i due aspetti, religioso francescano e sociale umano, che la Beata nella sua vita ha saputo mettere insieme e proporre a quante con lei e dopo di lei avrebbero continuato la sua opera.
Elisabetta è nata in una famiglia agiata di Bassano del Grappa VI il 9 aprile del 1790. All’età di trent’anni sente l’invito interiore a lasciare il fidanzato e il bel mondo in cui era inserita e a seguire il Signore vivendo il comandamento dell’amore come educatrice in un orfanotrofio della sua Città natale chiamato “ai Cappuccini”.
In seguito ad alcune incomprensioni con la Priora dell’orfanotrofio è costretta ad andarsene e il fratello Luigi l’aiuta a trasferirsi a Padova, prima come maestra all’Istituto degli Esposti e qualche mese dopo in una contrada poco lontana, chiamata degli Sbirri, tra i quartieri più degradati della città.
Qui con l’aiuto di don Luigi Maran, sacerdote che la seguirà dal suo arrivo a Padova fino alla morte di lui (1859), la Beata riuscirà a concretizzare l’intuizione di dar vita a una nuova congregazione, un Istituto di religiose preparate in vari ambiti dall’educare, all’assistere, dal curare, al promuovere e operare in ogni situazione di emergenza.
Elisabetta Vendramini vede una luce in ogni persona che incontra, una fiammella che, in alcuni, il male e il peccato potrebbe spegnere e allora lei con le sue figlie cerca di alimentarla: è la luce dell’immagine di Dio che brilla (o potrebbe brillare) in ogni uomo. In altre parole ogni uomo ha una dignità e va salvaguardata e portata alla luce.
Le suore elisabettine sono presenti ancor oggi in Italia e in alcune terre di missione – Ecuador, Argentina, Kenya, Sud Sudan, Egitto, Terra Santa. La loro presenza sostiene molte attività educative, socio-assistenziali, pastorali, favoriscono nel loro operare il fronte del disagio e delle nuove povertà, sempre inserite nel tessuto delle chiese locali.