L’Internet of Things, filosofia tecnologica in rapida affermazione, consiste nel rendere smart ciò che ci circonda nel quotidiano in modo che possa renderci un servizio migliore.
Tuttavia, nello sviluppare questa nuova realtà tecnologica, potrebbero nascondersi anche dei pericoli troppo facilmente sottovalutati. A parlarne, nel corso del Mozilla Festival di Londra (6-8 Novembre), è stato l’executive director di Mozilla Mark Surman.
Surman, nel corso di una chiacchierata con l’inviato di Tom’s Hardware, ha spiegato il suo pensiero riguardo l’Internet of Things parlando di chiari pericoli per la nostra privacy. Con l’I.O.T, in pratica tendiamo a rendere tutte le cose smart al fine di poterle controllare da remoto e da poterne ricavare maggiore soddisfazione: risultato? Già oggi gli elettrodomestici ed i device smart di seguono ovunque.
Poco male direte voi: siamo noi a controllarli. Ma siamo sicuri che sia così? Nello scenario prospettato da Surman, presto avremo tecnologie che raccoglieranno la nostra storia sanitaria, le nostre preferenze sessuali, politiche e religiose. Anche solo osservando i dispositivi che portiamo addosso, per Surman, potremo essere facilmente etichettati, schedati e catalogati in un certo modo. E questo è lesivo della privacy ma è il meno: problemi del genere sarebbero, comunque, ovviabili con dispositivi indossabili ben mimetizzati.
Il problema vero sta nei dati che questi dispositivi verrebbero ad ospitare. Con gli standard tecnologici chiusi, ovvero “non open”, è difficile sapere cosa verranno effettivamente a sapere queste tecnologia di noi, che uso faranno dei nostri dati e, soprattutto, a chi li passeranno in ultima istanza. Se, poi, ci mettiamo il “carico da quaranta” della cattiva protezione di questi dispositivi, vedremo come questi ultimi potranno essere facilmente trasformati in “occhi e orecchie del re” (una metafora per intendere gli antichi satrapi persiani, in sostanza i governatori del Grande Re) in grado di ascoltare tutto ciò che diciamo, vedere quello che facciamo, sapere quello che pensiamo.
In sostanza, aggiunge Surman, “incontreremo grandi difficoltà nel tenere sotto controllo quello che ci riguarda, le nostre preferenze e, più in generale, la nostra ‘umanità”. C’è un rimedio? Certo che sì, conclude – con ottimismo – il guru in questione: occorre spingere le autorità e gli enti di certificazione (ovviamente anche le aziende) nell’adottare standard open che ci rendano più edotti di come funzionano le tecnologie e di come queste ultime possano condizionare la nostra vita.