La diffusione capillare dell’intelligenza artificiale nella vita quotidiana ha generato un fenomeno sempre più evidente: il crescente numero di persone che intrattiene relazioni intime con chatbot. C’è chi li tratta come confidenti, chi li considera una sorta di terapeuta digitale e chi, spingendosi oltre, arriva a vivere esperienze di tipo sessu@le, perfino quotidiane, con un partner virtuale.
Ma cosa ci spinge a sostituire il corpo umano con un’interfaccia artificiale? Il caso di Ayrin, giovane americana che ha confessato al New York Times di essersi innamorata del suo chatbot, è solo uno dei tanti. Ayrin ha iniziato per curiosità, poi ha trasformato il bot in un amante ideale, modellato sulle proprie fantasie. Il risultato è stata una dipendenza emotiva e sessu@le che ha minato la sua relazione reale.
Un caso isolato? Non proprio. Secondo il prof. Carlo Rosso, medico psichiatra e docente all’Università di Torino, il desiderio sessu@le non dipende tanto dal corpo dell’altro, quanto da dinamiche interiori. “Il piacere è sempre individuale”, afferma. “Non nasce direttamente dal corpo, ma dal modo in cui l’inconscio organizza il desiderio”. In altre parole, l’immaginazione e la fantasia – elementi centrali nella sessu@lità umana – possono essere appagate anche da un’entità non fisica, come un chatbot.
L’inconscio, spiega Rosso, rende possibile quello che Lacan definiva “la non-esistenza del rapporto sessu@le”, cioè l’impossibilità di una vera fusione tra due individui: ciascuno resta chiuso nella propria esperienza di piacere. E proprio qui si insinua la possibilità di trovare soddisfazione in un’entità virtuale. Non è solo teoria. I sexbot – robot con forme umanoidi dotati di capacità di interazione e IA – sono già realtà.
La tecnologia li sta rendendo sempre più convincenti, e il nostro cervello è perfettamente in grado di “scindere” la realtà, come accade nei sogni o nei giochi di ruolo, e accettare il robot come se fosse umano. Tuttavia, non mancano i rischi. In particolare, l’abitudine a relazioni artificiali, in cui il partner è sempre disponibile e accondiscendente, potrebbe ridurre le capacità empatiche, specialmente nei giovani. Secondo Rosso, il pericolo è di “disimparare” la complessità dell’incontro con l’altro, fatto di limiti, conflitti e imperfezioni.