Google studia un "pulsante rosso" per evitare la ribellione dei robot

Le macchine dotate di AI fanno sempre più progressi nelle capacità operative e nella consapevolezza di sé: presto saranno in grado di percepire il dolore. E, forse di ribellarsi. A Google studiano un "pulsante rosso" per evitare un futuro alla Terminator.

Google studia un "pulsante rosso" per evitare la ribellione dei robot

Qualche mese fa abbiamo parlato dell’ultima creazione della Boston Dynamics, l’azienda (attualmente, ma per quanto?) di Google che si occupa di robotica e di intelligenza artificiale: in quell’occasione abbiamo visto come fosse stato realizzato un robot inarrestabile, capace di camminare su qualsiasi terreno e di rialzarsi se abbattuto. Da allora i progressi della robotica sono progrediti ancor di più e, in quel di Google, iniziano a pensare ad un “tasto rosso” per spegnere i robot ed evitare un “futuro alla Terminator”.

Sembra passato poco tempo dall’ultima creazione della Boston Dynamics, eppure la robotica ha già fatto passi da gigante da allora. I ricercatori Johannes Kuehn e Sami Haddadin della Leibniz University di Hannover hanno creato, da poco, il primo robot capace di sentire dolore, grazie ad una sorta di tessuto nervoso con il quale saranno ricoperti gli automi del domani: grazie a questa tecnologia, i robot saranno capaci di percepire il dolore, di catalogarlo su una scala di tre livelli, e – eventualmente – di chiedere aiuto all’agente umano. Secondo gli studiosi, i robot sono abitualmente sviluppati in modo “insensibile” onde poter fare lavori che gli uomini ritengono pericolosi ma, grazie alla percezione del dolore, potrebbero richiedere meno spese di manutenzione ed esser più sicuri per gli umani che lavorano a stretto contatto con loro. E, tuttavia, sarebbe anche possibile sviluppare una certa empatia per le macchine del domani. Macchine del domani che potrebbero anche ribellarsi.

A prospettare un’eventualità del genere è il capo del “The Future of Humanity Institute” (presso l’Università di Oxford), Nick Bostrom. Il filosofo in questione, noto per aver ipotizzato l’idea di Matrix per il genere umano (vivere all’interno di una realtà simulata), ritiene che ci vorrà un po’ perché le macchine diventino intelligenti come l’uomo…ad esempio, 100 anni. In quel momento, però, ci vorrà poco perché queste ultime operino uno scatto in avanti e diventino “superintelligenti”: da quel momento, si porranno a capo della catena alimentare del nostro mondo e potrebbero imporre le loro ragioni (come fece l’uomo, a suo tempo, con le altre specie esistenti). 

A quanto pare è la stessa Google a temere un futuro alla “Terminator”. Alcuni ricercatori della DeepMind – azienda googleana che studia gli algoritmi delle AI – hanno iniziato a studiare, con i colleghi dell’Università di Oxford – dei modi per poter interrompere le azioni delle intelligenze artificiali senza far sì che queste ultime possano impedirlo.

Gli studiosi in questione, nel dettaglio, spiegano che è probabile che le AI possano, prima o poi, sbagliare ed intraprendere una sequenza di azioni dannose per l’agente umano e per l’ambiente circostante: ecco, in questo caso è opportuno studiare quali algoritmi possono essere stoppati in modo da riportare tutto ad una condizione di maggiore sicurezza. Oltre a questo, occorre anche pensare a come evitare che le AI prendano il controllo di se stesse bloccando i tentativi umani: un classico bottone rosso, infatti, potrebbe non bastare e, quindi, sarebbe necessario studiare come prendere il momentaneo controllo delle macchine al fine di far credere loro che è nel loro stesso interesse interrompersi. 

Iniziate anche voi a guardare ai droidi giocattolo o da compagnia con minore simpatia?

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