“Echo”: un viaggio solitario, una riflessione sull’essere umano

Sviluppato per PC e PS4, Echo è uno stealth game fantascientifico che ci mette nei panni della ragazza albina En, alle prese con l’esplorazione di una colonia popolata da cloni capaci di imparare dai comportamenti del giocatore ed evolversi di conseguenza.

“Echo”: un viaggio solitario, una riflessione sull’essere umano

En viaggia nello spazio da oltre un secolo in stasi criogenica e si risveglia quando la sua nave giunge su un pianeta sconosciuto. Scende in esplorazione con l’aiuto dell’intelligenza artificiale London. Sembra che ci sia una colonia, costruita tempo prima per ospitare gli esseri umani: è un enorme palazzo, ma è così asettico che non dà l’impressione di essere abitato. La costruzione è afflitta da numerosi blackout e, ogni volta che l’illuminazione si riattiva, si popola di cloni ostili della stessa En.

Echo è un gioco che prova la commistione di più generi: un po’ action, un po’ stealth, un po’ narrazione dialogante fra due soli personaggi. Impersonando la ragazza dovremmo esplorare il palazzo e sfuggire ai suoi cloni oppure eliminarli. En può nascondersi e passare inosservata, può scappare, oppure può prendere alle spalle un nemico ed eliminarlo silenziosamente, o ancora usare una pistola con pochi colpi a disposizione perché sfrutta l’energia della tuta spaziale per funzionare.

La fase narrativa consiste perlopiù nei dialoghi tra En e London, con parlato e sottotitoli solo in lingua inglese. A quanto pare, En è frutto di un esperimento genetico atto a migliorare la razza umana e sembra avere un passato tragico alle spalle. Durante queste fasi, da non sottovalutare perché si tratta comunque di un racconto di buon livello integrato nelle meccaniche gameplay, viene fuori una narrazione allineata a un tipo di fantascienza che si rifà sì all’immaginario cinematografico, ma che ai roboanti effetti speciali preferisce un confronto intimo tra la natura umana e il progresso tecnologico.

La stessa ambientazione del palazzo ad esempio, è lontana da canoni estetici futuristici, sembra una reggia barocca frutto di opulenza umana, ma la sua simmetria negli arredi, il silenzio asettico, la pulizia, lo fanno sembrare in ogni momento l’opera di una macchina perfetta e vuota di emozioni, come se un computer tentasse senza successo di emulare l’uomo.

I cloni generati dal palazzo nelle prime fasi di gioco hanno un aspetto piuttosto diverso dall’originale En: sono abbozzi, tentativi andati male. Dopo un po’, progrediscono, iniziano a evolversi, la somiglianza che prima era solo marginale finisce per diventare speculare. È come se la macchina si accostasse all’uomo, diminuendo la distanza, e imparando in modo iperbolico.

Questo spunto narrativo dà il via anche all’aspetto più interessante del gameplay di Echo: i cloni imparano da En. Se in una fase fra due blackout il nostro stile di gioco è stato aggressivo e si è preferito l’uso della pistola all’uccisione silenziosa, allora i nuovi cloni generati saranno più propensi a usare le armi da fuoco. Se invece spesso ci si è dati alla fuga abbandonato lo scontro, allora i cloni diventeranno più veloci. Se abbiamo agito in silenzio cogliendoli spesso alle spalle, allora impareranno a essere più attenti. Questo fatto obbliga il giocatore ad avvalersi di tutte le possibilità offerte dal gioco, alternando le tattiche di sopravvivenza e non stabilizzandosi sempre sul medesimo modo di progredire nell’avventura.

Ultra Ultra, lo studio di sviluppo danese, è un team esordiente e questo fa sì che il gioco si porti dietro qualche errore di gioventù unito a un budget di produzione non troppo elevato. Le meccaniche stealth sono un po’ rozze, al di sotto di giochi più blasonati e che fanno dell’azione furtiva il loro unico punto forte. Le mosse a disposizione sono limitate, En può solo accucciarsi dietro le colonne, afferrare o respingere un nemico. La grafica è buona, ma qualche ambiente un po’ ripetitivo e la costruzione dei livelli stessa non è studiata in modo maniacale per favorire diversi approcci al gameplay.

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