“Volevo nascondermi”, il film di Giorgio Diritti con Elio Germano nei panni del pittore Antonio Ligabue, ha trionfato ai David di Donatello, dove si è aggiudicato ben sette statuette, confermandosi così uno dei titoli più premiati e più apprezzati della passata stagione cinematografica. Tra i prestigiosi premi, la pellicola si è portata a casa il premio come miglior film, miglior regia, migliore attore protagonista per Elio Germano, migliore autore della fotografia per Matteo Cocco, migliore scenografia per Ludovica Ferrario, Alessandra Mura e Paolo Zamagni, migliore acconciatore per Aldo Signoretti e miglior suono.
Ma i premi non si limitano certo ai soli David di Donatello ed è doveroso ricordare il prestigioso Orso d’argento per il miglior attore vinto da Elio Germano al Festival di Berlino, a cui si aggiungono il Nastro dell’anno e il Nastri d’argento 2020, tra i premi per la miglior fotografia e i migliori costumi agli European Film Awards, e le tre candidature ai Ciak d’oro.
La trama di “Volevo nascondermi” verte sulla vita del celebre artista Antonio Ligabue, grande pittore naif emiliano, una delle figure più rilevanti dell’arte contemporanea nazionale e internazionale ma affetto da gravi malformazioni fisiche, come il rachitismo e il gozzo, peggiorate da crisi nervose che spesso sfociavano in atti di autolesionismo.
Il film affronta tutta la sua vita partendo da un’infanzia difficile: sua madre italiana e ragazza madre decide di emigrare in Svizzera, affidando il bambino ad una coppia svizzera di lingua tedesca con la quale Toni ebbe rapporti d’amore e odio per anni, tanto da essere affidato ad un Istituto. A venti anni viene espulso dalla Svizzera per avere aggredito la madre adottiva e si trasferisce a Gualtieri, in provincia di Reggio Emilia, patria del padre adottivo.
Ligabue si ritrova così in Italia, povero e solo, guadagnandosi da vivere facendo il manovale sul Po, talvolta eseguendo disegni su cartelloni per piccole compagnie circensi, sino all’incontro fortunato con lo scultore Renato Marino Mazzacurati che lo spinge a dedicarsi all’arte, trasportando così i suoi demoni sulla tela, come gli animali feroci colti nell’attimo primo di lanciarsi sulla preda o in lotta tra di loro e i profondi e ossessivi autoritratti, dipingendo e scolpendo fino alla morte, avvenuta dopo una grave paresi nel 1965.