“Edhel”: una ragazzina con le orecchie da elfo impantanata nella vita di tutti i giorni

Un piccolo fantasy italiano che racconta l’adolescenza dei ragazzi di oggi, la realtà vista attraverso lo specchio magico e distorsore della fantasia, un modo per conoscere se stessi e accettare le nostre diversità.

“Edhel”: una ragazzina con le orecchie da elfo impantanata nella vita di tutti i giorni

Edhel (Gaia Forte) è un’adolescente nata con una rara malformazione al padiglione auricolare. Ha le orecchie a punta. Questo tratto distintivo, unito a un bel viso affilato, la fa somigliare a un elfo delle favole. Se nell’immaginario collettivo gli elfi sono esseri sublimi pieni di grazia e dolcezza, nella realtà dei fatti questo accostamento si rivela per Edhel un vero e proprio incubo.

I compagni di scuola la odiano. In classe è vittima di bullismo. Le sue orecchie a punta sono l’appiglio perfetto per cacciare fuori tutta la cattiveria insita nell’essere umano. Lei reagisce odiando a sua volta il mondo e nascondendo le orecchie con il cappuccio della felpa o con una grossa fascia per capelli. L’unico rifugio è il maneggio dove può cavalcare liberamente il suo cavallo Caronte. In un’epoca in cui l’immagine viene prima di tutto Edhel è il diverso incompreso.

Rimasta orfana di padre, vive sola con sua madre Ginevra (Roberta Mattei). Le due sono unite, ma spesso litigano a proposito del problema di Edhel. Ginevra vorrebbe sottoporre la figlia a un’operazione di chirurgia estetica per trasformare le orecchie da elfo in orecchie “normali”. Le cose iniziano a cambiare quando la ragazzina conosce Silvano, il bidello della scuola, irriducibile nerd, appassionato di elfi e di giochi di ruolo fantasy.

Edhel è un piccolo film italiano, un fantasy di nicchia, sicuramente più pratico che opulento dal punto di vista degli effetti speciali, ma che sa regalare emozioni davvero genuine. Edhel è l’adolescente che siamo stati, quello che da qualche parte è ancora dentro di noi, quello che è pieno di dubbi più che di belle speranze, la ragazzina che passa ore davanti allo specchio a scovare difetti per poi nasconderli, che cerca di essere accettata dalla società omologandosi a essa e sopprimendo la propria personalità.

Silvano cerca di convincere Edhel che le sue orecchie a punta sono un chiaro segno che lei discende dagli elfi. Lei è diversa, sì, ma in meglio. Insomma: gli elfi sono incredibilmente fighi. Sono agili, intelligenti, belli, sanno cavalcare e tirare con l’arco. Il bidello porta la ragazzina in un mondo che elude la realtà, quel fantasy fatto di mistero, magia, boschi incantati lontano anni luce dalle angherie della vita di tutti i giorni, dal bullismo scolastico. Ma è davvero questo il rimedio a tutto?

Nel suo film, il regista Marco Renda evita le soluzioni di comodo. Nello sviluppo narrativo Edhel non sfocia in un fantasy che prevede la trasformazione definitiva dell’adolescente in elfo e non fa diventare il bosco dietro casa un regno incantato. Sarebbe una sconfitta, non una vittoria. Il rifiuto della propria diversità. No, Edhel affronta la realtà, la guarda dritto negli occhi. Nel film, il fantasy è sempre qualcosa di sussurrato, non di veramente concreto. La fantasia assume il ruolo che deve avere: un mezzo per interpretare la realtà e imparare a viverci dentro, non un surrogato che la sostituisce.

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