Il celebre dipinto “L’Urlo” del 1893, realizzato dall’artista norvegese Edvard Munch, e conservato alla Galleria Nazionale di Oslo, nascondeva in un angolo un misterioso graffito scritto a matita: “Può essere stato dipinto solo da un pazzo”, frase oggi attribuita proprio al pittore precursore dell’avanguardia dell’Espressionismo, confermata dall’analisi della calligrafia e dalla tecnica dei raggi infrarossi.
Un’opera suggestiva dove Munch si autoritrae in quattro versioni, come una larva umana sopra un ponte della città di Nordstrand, durante una passeggiata con gli amici, colto da un’improvviso attacco di panico. Lo stesso Munch confesserà: “Il sole stava calando sul fiordo, le nuvole erano color rosso sangue. Improvvisamente, ho sentito un urlo che attraversava la natura. Un grido forte, terribile, acuto, che mi è entrato in testa, come una frustata […]Anch’io mi sono messo a gridare […] Ma nessuno mi stava ascoltando […] ho fatto urlare i colori. Non mi riconoscete, ma quell’uomo sono io“.
L’arte di Munch ha costantemente esplorato la psiche umana e le sue ossessioni, come la morte, la solitudine, l’ansia e la depressione, attraverso colori brillanti e ambientazioni desolate, influenzata dalle malattie, dai lutti familiari, dalla sua depressione, dalla dipendenza dall’alcool, e dagli amori tormentati, come quello con la ricca ereditiera Tulla Larsen, che gli costò un dito frantumato per un colpo di pistola.
Edvard Munch, infatti, a cinque anni perse la madre, stroncata dalla tubercolosi, la stessa malattia che porterà via la sorella Johanne Sophie, seguita dalla psicosi depressiva del padre, dalla pazzia dell’altra sorella Laura e dalla morte del fratello Peter Andreas.
Un’arte prestigiosa esposta nei musei di tutto il mondo, considerata degenerata nel 1934 dal regime nazista di Hitler, come quella di Modigliani, Picasso, Van Gogh, Gauguin, Chagall, Kokoschka, Klee, Kandinsky, Beckmann, Ernst, Mondrian, Libermann e Kirchner, ma fortunatamente scampata alla cieca distruzione della dittatura.