Lo sterminio dei malati psichici durante il nazionalsocialismo

Per la prima volta una mostra racconta l’orrore delle politiche eugenetiche nei confronti dei malati psichici e dei disabili nella Germania nazista. La Società Italiana di Psichiatria appoggiò lo sterminio.

Lo sterminio dei malati psichici durante il nazionalsocialismo

La Sala Zanardelli del Monumento a Vittorio Emanuele II (Vittoriano) ospita, fino al 14 maggio, la mostra documentaria “Schedati, perseguitati, sterminati. Malati psichici e disabili durante il nazionalsocialismo”, arricchita dalla sezione “Malati, manicomi e psichiatri in Italia”.

La mostra, ideata da Frank Schneider e curata da Petra Lutz è stata realizzata dalla “Società Tedesca di Psichiatria” (DGPPN) in collaborazione con la “Fondazione Memoriale per gli Ebrei assassinati d’Europa” e la “Fondazione Topografia del Terrore Berlino”.

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Secondo la concezione di Hitler, l’inizio della seconda guerra mondiale segnava l’apertura di una nuova era: dopo un apocalittico scontro finale, il mondo sarebbe risorto rigenerato, caratterizzato da una differente civiltà e da valori morali assolutamente rivoluzionati. Compiere azioni inenarrabili diviene lecito e possibile, indispensabile per raggiungere la meta ultima del Reich dei mille anni, la duratura prosperità del popolo tedesco e della razza ariana.

La decimazione dei prigionieri sovietici, le violenze contro le popolazioni civili catalogate come inferiori e lo sterminio degli ebrei erano parte di tale programma. I nazisti commisero il primo crimine di massa contro la componente più debole della popolazione tedesca: i malati di mente e gli handicappati gravi.

Decisamente eloquente, a questo proposito, il film di propaganda “Opfer der Vergangenheit” in cui vengono presentate le “indegne” vite delle persone ricoverate nei manicomi.

Per la prima volta una mostra racconta l’orrore delle politiche eugenetiche nei confronti dei malati psichici e dei disabili nella Germania nazista. Una storia indegna, agghiacciante, oscurata per anni. L’assoluta disumanità attuata nei confronti dei malati psichici e dei disabili durante il nazionalsocialismo e la conseguente omertà della Germania alla fine della guerra.

Attraverso 50 pannelli fotografie, disegni, documenti ufficiali e inediti esposti per la prima volta in Italia è possibile comprendere il complesso meccanismo organizzativo che permise l’attuazione del piano criminale: lo sguardo impassibile e scientifico dei responsabili, dei loro complici, si contrappone quello umanissimo, dolente, delle vittime.

Una storia che inizia nel 1934 con la sterilizzazione coatta di 400.000 cittadini tedeschi di entrambi i sessi, perché affetti da patologie mentali ritenute ereditarie e incurabili: seguì la sistematica uccisione di adulti e bambini definiti “incurabili” e dunque un inutile fardello per la popolazione tedesca. Tra il 1940 e il 1945, 200.000 cittadini tedeschi furono assassinati nelle prime camere a gas che la Germania nazista aveva edificato, o furono lasciati morire di stenti all’interno delle strutture che li ospitavano.

Sotto il pretesto di un’“eutanasia di massa” fu in realtà studiata una macchina dello sterminio a catena industriale, atta ad annientare gli esser umani che non rientravano nei parametri di integrità e capacità di produrre necessari nelle logiche del Reich. Lo sterminio dei disabili ebbe una giustificazione scientifica, coinvolse medici, personale amministrativo e tecnico. Per uccidere furono addirittura elaborate soluzioni tecnologiche all’avanguardia per i tempi.

Sorse la “Commissione per le malattie genetiche ed ereditarie” che aveva a disposizione una rete di 500 medici distribuiti in tutta la Germania e l’Austria, organizzati in “Centri di consulenza per la protezione del patrimonio genetico e della razza”. Gli ospedali e le levatrici avevano l’obbligo di informare i Centri della nascita di bambini deformi o affetti da gravi malattie fisiche o psichiche: i medici convocavano i genitori e li convincevano ad affidar i loro i figli per cure sperimentali. I bambini venivano quindi ricoverati e uccisi con una iniezione di scopolamina o lasciati morire di fame. I cadaveri venivano sezionati per studiarne il cervello. Solamente negli anni Ottanta del Novecento se ne inizierà a parlare, nel 2010 avverrà il riconoscimento da parte della società tedesca di psichiatria della propria responsabilità.

Una sezione curata dal “Comitato Storico Scientifico della Società Italiana di Psichiatria” riassume e analizza le responsabilità della psichiatria italiana durante il fascismo. La Sip non intendeva uccidere i malati ma, sotto la Presidenza di Arturo Donaggio, fu l’unica società scientifica a legittimare le leggi razziali del 1938. Negli ultimi anni del conflitto circa 30.000 persone ricoverate negli ospedali psichiatrici italiani morirono per inedia e abbandono. Gli aspetti analizzati nella sezione sono: la situazione dei manicomi italiani dopo la prima guerra mondiale, l’adesione della psichiatria ufficiale all’ideologia fascista, le deportazioni di pazienti dagli ospedali psichiatrici del Nord Italia verso la Germania.

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