Spotify sotto accusa: canzoni AI di artisti scomparsi pubblicate senza autorizzazione

Spotify ha diffuso canzoni generate dall’intelligenza artificiale attribuite a celebri artisti del passato, scatenando polemiche per l’assenza di autorizzazioni da parte delle famiglie e sollevando dubbi sulla gestione dei contenuti.

Spotify sotto accusa: canzoni AI di artisti scomparsi pubblicate senza autorizzazione

Spotify ha recentemente suscitato un acceso dibattito a causa della pubblicazione, sulle pagine ufficiali di alcuni artisti scomparsi, di canzoni interamente generate dall’intelligenza artificiale senza il consenso delle rispettive famiglie o detentori dei diritti. L’episodio più emblematico riguarda Blaze Foley, cantautore country texano morto nel 1989, la cui pagina ufficiale su Spotify ha ospitato per breve tempo un brano dal titoloTogether” che non era un inedito ritrovato, ma una creazione artificiale.

La voce sintetica risultava distante dallo stile originale, mentre la copertina mostrava un’immagine generata dall’AI raffigurante un uomo completamente diverso dal musicista. La situazione ha generato preoccupazione e indignazione tra i familiari e l’etichetta Lost Art Records, che gestisce il catalogo di Foley, i quali hanno denunciato il fatto che Spotify abbia permesso la diffusione di questo contenuto senza alcuna autorizzazione preventiva.

Craig McDonald, rappresentante dell’etichetta, ha definito la traccia “spazzatura algoritmica” e ha sottolineato come la piattaforma dovrebbe garantire un maggiore controllo su ciò che viene pubblicato a nome degli artisti, soprattutto in presenza di materiale così delicato e controverso. Non si tratta di un caso isolato. Ulteriori indagini hanno rivelato che altre tracce simili, attribuite a musicisti come Guy Clarke – vincitore di un Grammy scomparso nel 2016 – e Dan Berk, presentano caratteristiche analoghe: brani creati artificialmente con copertine fasulle, immagini generate da AI che non hanno nulla a che vedere con i veri artisti.

Questi episodi hanno acceso i riflettori sulla necessità di regolamentazioni più stringenti e di un sistema di verifica che possa prevenire pubblicazioni ingannevoli che danneggiano sia i fan sia gli eredi artistici. Spotify ha reagito rimuovendo i brani incriminati per violazione delle proprie policy contro i contenuti ingannevoli e ha annunciato di aver contattato SoundOn, distributore legato a TikTok, responsabile della pubblicazione.

L’azienda ha ribadito che i recidivi rischiano la rimozione permanente dalla piattaforma. Tuttavia, resta un punto critico: come è stato possibile che queste tracce siano finite direttamente sulle pagine ufficiali e verificate degli artisti senza alcun filtro?

Questo caso evidenzia anche un problema più ampio che affligge il mondo dello streaming musicale, ossia la crescente presenza di brani generati da intelligenze artificiali, spesso usati da soggetti poco scrupolosi per generare ascolti artificiali e quindi ricavi illegittimi. Un episodio noto riguarda un uomo accusato di aver truffato servizi musicali per milioni di euro attraverso il caricamento massivo di tracce AI ascoltate da bot. La vicenda Blaze Foley rappresenta dunque un campanello d’allarme per tutto il settore musicale e le piattaforme di streaming. Mentre l’intelligenza artificiale offre opportunità creative senza precedenti, la sua applicazione senza regole chiare e controlli efficaci rischia di mettere a repentaglio la tutela del patrimonio artistico e la fiducia degli utenti. Spotify e altre piattaforme dovranno necessariamente “rimboccarsi le maniche” per mettere a punto sistemi più efficaci di verifica e protezione dei diritti, altrimenti rischiano di essere coinvolte in battaglie legali e di perdere credibilità di fronte a artisti, famiglie e pubblico.

Continua a leggere su Fidelity News