Sbarcato il lunario in Corea e osannato dalla critica e dai vari Festival, non si poteva lasciare in disparte un film come “Train To Busan”. Di comune accordo si può classificare come uno di quei pochi film di genere in grado di rivolgersi ad una larga fetta di pubblico. Soddisfa, infatti, sia gli appassionati cresciuti a pane e George Romero, sia chi si è avvicinato al filone zombie grazie a The Walking Dead. Tuttavia è un titolo che potrebbe destare interesse anche a chi di morti viventi non ha mai voluto sentirne parlare.
La regia di Yeoun Sang-ho traduce magistralmente nel grande schermo scene mozzafiato che non scadono mai nell’eccessivo uso di effetti splatter; risultando godibili anche per chi soffrisse di un’acuta sensibilità. Il risultato? Un cocktail ben miscelato con scene da cardiopalma inserite in un cast di personaggi sapientemente caratterizzato da un circolo di luoghi comuni. Il gruppo di protagonisti si ritrova a prendere un treno per Busan durante l’epidemia e saranno costretti a fronteggiarla, attraversando le varie fermate delle stazioni e i vagoni pullulanti di morte e caos.
Impossibile non affezionarsi alla bambina di un padre manager di successo, di natura prettamente egoista; o alla coppia di marito e moglie incinta. Impossibile non odiare quelle personalità egocentriche che, mostrando una prepotenza pari a quella degli antagonisti, non perdono occasione per sacrificare la vita degli altri in virtù della propria. Dunque, la minaccia non si limita solo a quella rappresentata dal pericolo zombie.
Lo scenario apocalittico in cui si concentrano le vicende è uno dei più classici. Un virus sta inspiegabilmente tramutando gli esseri umani in creature affamate di carne umana. Proprio gli zombie costituiscono uno degli aspetti più riusciti del film ed una riconferma della novità nell’immaginario collettivo in cui ci si aspetta di vedere morti viventi lenti ed impacciati.
Vengono riproposti, quindi, esseri letali, ultra veloci e spietati. Tuttavia, al contempo, mantengono quelle caratteristiche che li ritraggono ironicamente con una stupida caricatura. Fanno paura ma possono anche far ridere per la loro ingenuità. E’ facile raggirarli, ma altrettanto facile compiere un passo falso e, in men che non si dica, cadere vittime dei loro morsi. Ciò permette allo spettatore di non trovare mai un attimo di respiro e di vivere la tensione come se ci si trovasse catapultati in prima persona in quella realtà così crudele e claustrofobica. Catapultati nella folle corsa tra vagoni che ricorda molto quanto visto nel post-apocalittico “Snowpiercer” di Bong Joon-ho, distaccandosene naturalmente per tematiche e scenario.
Quella di “Train To Busan” è una realtà che non perdona e che non lascia spazio a sentimentalismi. Non c’è n’è il tempo, poiché avviene tutto in un rapido lasso di tempo. Un pò come quel treno che procede a velocità spedita sui binari verso quella che, utopicamente, rappresenterebbe l’ancora per la salvezza dell’umanità. Busan è la città della speranza e, pur di raggiungerla, i personaggi sono pronti a tutto. Persino a cambiare la propria natura. Ma quando si arriva vicino alla destinazione, la tensione cala drasticamente cedendo ad un finale non all’altezza di quanto visto in precedenza. Nonostante tutto, Train To Busan è davvero un gran bel film, capace di approfondire con la scusa dell’apocalisse colui che rappresenta il vero mostro su questa terra: l’essere umano.