Sul portale di condivisioni scientifiche “Plos One” (https://www.plosone.org/) è stato recentemente pubblicato uno studio dell’Università di Cambridge nel quale si evince che, a seconda delle playlist che preferiamo ascoltare online, ne deriverebbe una nostra particolare visione del mondo, oltre a specifici tratti della nostra personalità.
Lo studio è stato condotto su un target di 4000 volontari ed ha previsto una prima fase, consistente nella somministrazione di un test di personalità onde determinare le specifiche caratteriali di ogni volontario, e in uno step two nel quale, ai volontari, sono stati fatti ascoltare 50 brani, scelti tra diversi generi e sottogeneri, ai quali, poi, han dovuto dare un loro voto di gradimento. Il tutto, eseguito con la massima cura per minimizzare l’influenza del gusto personale o dell’ambiente culturale sul risultato finale, ha permesso di analizzare, tramite l’app “myPersonanlity”, i tratti della personalità di 4 milioni di iscritti a Facebook.
Le conclusioni dello studio sono state davvero interessante e, qui, ne riportiamo gli esiti più “gustosi” ed emblematici nei quali, siamo sicuri, ci riconosceremo in molti.
Vi è, come noto, la categoria delle persone empatiche, individui che riescono facilmente a legare con gli altri ed a partecipare delle altrui gioie e dolori: secondo il report dell’Università di Cambridge, sempre molto avanti negli studi di psicometria, chi ha questo tratto della personalità appena accennato tende ad ascoltare musica calda e suadente ricca di testi poetici ma, parimenti, apprezza anche musica in cui si parla di emozioni negative come la tristezza e la depressione: l’importante è che si tratti di qualcosa di profondo che induca e invogli a pensare. In questo caso, quindi, non deve sorprendere la preferenza accordata a cantautori come Jeff Buckley (“Hallelujah”), Norah Jones (“Come away with me”) e Billie Holyday (“All of me”) ed a generi come R&B, musica country e folk, soft rock, e pop.
Se invece siete tra coloro che sono razionali e sistematici, ovvero che tendono a inquadrare il mondo in uno schema logico onde trovar spiegazione a tutto, è facile che, musicalmente, preferiate musiche che fanno della complessità dei passaggi eseguiti il loro forte. In tal senso si tende ad optare per artisti classici come Vivaldi, col suo “Concerto C” caratterizzato da una musica ricca e vivace fatta di chitarre, archi e basso, o come i puncheggianti The Sex Pistols con il loro “God save the Queen” che, sovente, vengono ascoltati assieme ai Metallica (“Enter Sandman”).
Le possibili applicazioni della ricerca in questione sono davvero tante: lo psichiatra inglese Simon Baron-Cohen sostiene che, in pratica, la teoria anni ’90 sull’empatia-sistematizzazione è stata applicata alla musica e questo permetterà di curare alcune patologie. All’estremo opposto dell’asse sul quale è collocata anche l’empatia, si trova la capacità di razionalizzazione che si acutizza molto nei soggetti autistici.
Con uno studio come quello qui esposto si potrebbe, dai gusti musicali, capire chi soffre di questa patologia ma non solo. Greenberg, altro protagonista della ricerca, spiega – infine – che “tenere conto dello stile cognitivo di ciascuno potrebbe aiutare a individuare meglio le playlist ottimali per chiunque” su piattaforme come Spotify, Apple Music etc.