Chip sottopelle: un’azienda belga lo farà usare al posto del badge

Questa la soluzione proposta dalla società belga di marketing digitale, la NewFusion, per ovviare al problema dei dipendenti che dimenticavano a casa il badge identificativo: la scelta dell'impianto è volontaria, ma le polemiche sono sorte lo stesso!

Chip sottopelle: un’azienda belga lo farà usare al posto del badge

A tutti sarà capitato, almeno una volta, nel recarsi a lavoro, di essersi dimenticati il proprio badge identificativo, e di aver avuto – ipso facto – diverse difficoltà nel confermare la propria identità. Ecco, un’azienda belga, attiva nel marketing digitale, la NewFusion, ha pensato di risolvere il tutto in modo molto originale: impiantando un microchip nei suoi dipendenti.

A raccontarlo, sono diversi quotidiani in lingua spagnola, del calibro del “Clarín”, o de “La Vanguardia”, i quali spiegano che tutto era nato per pura combinazione, visto che – in azienda – vi era il caso di un dipendente che, scherzosamente, si lamentava di dimenticare spesso a casa il proprio badge. Non l’avesse mai detto.

L’azienda in questione, infatti, ha proposto una soluzione al problema molto “originale”, ed anche un po’ inquietante, sostanziata nell‘impianto di un microchip, simile a un oblungo chicco di riso basmati, da posizionare nel solco della mano, tra indice e pollice.

Una volta “implementati” con questa estensione, contenente anche i dati usualmente presenti in un biglietto da visiva, il dipendente 2.0 della NewFusion sarà in grado di aprire le porte, ed accedere al proprio computer, senza la necessità di avere con sé, e strisciare, il badge, e potrà scambiare i propri dati personali con uno smartphone (es. di un fornitore, cliente, o collaboratore) semplicemente agitando la mano. 

Inutile annotare che la notizia, diffusa mediaticamente anche dalla catena televisiva Vrt, ha sollevato un vespaio di polemiche in Rete, con tanti internauti che evocavano il pericolo di un controllo orwelliano. A tal proposito, il presidente della locale ” Lega dei diritti dell’uomo”, Alexis Deswaef, ha sostenuto la sua preoccupazione per un meccanismo, definito di “controllo totale”, che permetterebbe di “pesare” la produttività di ogni dipendente, registrando l’ora di entrata in ufficio, e la durata effettiva delle sue pause. 

Il direttore dell’aziendaVincent Nys, ha rassicurato tutti, dicendo che non si deve aver paura della tecnologia, e che anzi va sperimentata. D’altronde, aggiunge Nys, un iPhone è 10 volte più lesivo per la privacy e, in ogni modo, la soluzione del chip non è obbligatoria: gli 8 dipendenti che, per comodità, l’hanno adottata, non sono stati costretti e, per chi non se la sentisse di accettare un’implementazione così “invasiva”, è disponibile – pur sempre – un anello smart, con le medesime funzionalità. 

Soluzioni del genere, in realtà, non sono così nuove. Tre anni fa, nel 2014, si era parlato di un contraccettivo in forma di chip sottocutaneo, e negli USA (tranne in California e Wisconsin), una soluzione similare a quella della NewFusion è in sperimentazione presso il personale ospedaliero. Non dimentichiamo, infine, la bufala dell’anno scorso, secondo la quale il governo italiano aveva inserito nell’Agenda Digitale per l’innovazione l’idea di microchippare tutta la popolazione entro il 2017. In fondo, per usare le parole di Nys, se si dice di essere innovativi, “perché non iniziare da se stessi?”. 

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