Formula 1, rush finale: e se la Red Bull fosse l’arbitro del mondiale?

La vittoria di Max Verstappen in Malesia apre nuovi possibili scenari: la Red Bull, dopo un avvio claudicante, è tornata competitiva e si candida a recitare il ruolo di possibile arbitro del mondiale. Vettel spera, Hamilton comincia a preoccuparsi.

Formula 1, rush finale: e se la Red Bull fosse l’arbitro del mondiale?

Se la vittoria ottenuta tra le stradine di Baku a fine giugno è stata il frutto di una gara anomala e fuori controllo, quella conquistata ieri dalla Red Bull in Malesia è indicativa di quanto la scuderia austriaca sia migliorata in questi mesi e rischia di diventare una variabile impazzita nella lotta al titolo tra Hamilton e Vettel. In Azerbaigian, infatti, Daniel Ricciardo approfittò sia del problema al poggiatesta accusato da Hamilton, sia della follia di Vettel che diede una ruotata al britannico e fu penalizzato.

Ieri a Sepang, invece, se è vero che Verstappen ha avuto il compito facilitato dall’assenza in gara di Kimi Raikkonen, va altrettanto riconosciuto il gran sorpasso effettuato ai danni di Lewis e la padronanza con cui ha dominato la gara. Quella della Malesia, insomma, non è una vittoria casuale, ma frutto del lavoro in fabbrica.

I risultati, a dire il vero, ci sono da tempo: analizzando il ruolino di marcia di Ricciardo (quarto in classifica con 177 punti), ci si rende conto che l’australiano ha ottenuto il maggior numero di podi nelle ultime 11 gare (8 podi contro i 7 di Hamilton e Bottas e i 6 di Vettel) grazie a una costanza incredibile che gli ha consentito di ottenerne cinque consecutivi tra Spagna e Austria.

Ecco che allora la Ferrari potrebbe trovarsi come ‘alleata’ una Red Bull rinata dalle sue stesse ceneri, dopo le prime quattro gare extraeuropee disastrose. Vettel e Raikkonen tornano dalle tappe asiatiche di Singapore e Malesia con le ossa rotte e il bicchiere quasi vuoto. ‘Quasi’, però. La rimonta di Sebastian dall’ultima posizione fino alla quarta è stata resa possibile da un passo-gara nettamente più veloce delle altre vetture (in media 8 decimi al giro meglio nel confronto con Hamilton): certo, con i ‘se’ e con in ‘ma’ non si fa la storia, ma con Kimi in gara sarebbe di certo andata diversamente.

Quello che sorprende è che insieme al Cavallino – che al netto della catena di errori e sfortune, nelle ultime due gare ha dimostrato una chiara ripresa – pare sia la Red Bull ad aver sovvertito gli equilibri e confinato la Mercedes a terza potenza dello schieramento. A Singapore entrambe le Frecce d’Argento sono scattate dalla terza fila e in gara hanno beneficiato del ritiro dei tre piloti che sarebbero con molta probabilità andati sul podio.

In Malesia, Hamilton ha fatto un giro strepitoso in qualifica, aiutato anche da quel ‘bottone magico’ di cui usufruisce nei momenti in cui deve realmente spingere; tuttavia, in gara è stato agilmente passato da Verstappen, mentre Bottas annaspava in quinta posizione, ripreso e scalzato da Vettel. Il campanello d’allarme è stato lanciato proprio dal britannico a fine corsa: “Dalle nostre simulazioni sapevamo che Vettel sarebbe risalito fino al quinto o quarto posto […]. Ma credevo che la differenza sarebbe stata di due decimi, non di otto. Sia io che le due Red Bull abbiamo beneficiato anche dell’assenza di Kimi, perché con lui in pista credo che non sarei andato oltre la terza posizione. La mia gara è stata il massimo che oggi potessi fare, se avessi forzato la difesa su Verstappen mi avrebbe passato uno o due giri dopo, non sarebbe cambiato nulla”.

Hamilton ci ha abituati molto spesso a dichiarazioni di facciata: è un abile comunicatore che punta molto anche sulla strategia verbale. Ma questa volta non sembra che stia recitando un copione. Il suo vantaggio è rassicurante al momento, ma 125 punti in palio sono tanti considerando che la Red Bull può benissimo inserirsi nella lotta e sottrarre punti preziosi ai contendenti al titolo.

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