Formula 1. Felipe Massa si ritira. Da campione del mondo per 38 secondi all’incidente di Budapest

Quello di domenica sarà l'ultimo Gran Premio di casa per Felipe Massa che al termine della stagione si ritirerà dalla Formula 1. Un pilota tanto veloce quanto sfortunato con quel pomeriggio ungherese che ha segnato irrimediabilmente la sua carriera.

Formula 1. Felipe Massa si ritira. Da campione del mondo per 38 secondi all’incidente di Budapest

Se gli appassionati di Formula 1 guardassero soltanto al palmares dei loro beniamini, probabilmente Felipe Massa avrebbe giusto qualche fan disposto a tutto pur di strappargli foto e autografi. Del resto in uno scenario automobilistico cannibalizzato da Lewis e Sebastian IV – ad eccezione di Nico Rosberg, iridato lo scorso anno, gli ultimi otto campionati piloti sono stati vinti da loro due -, inciso dalle corse garibaldine del campione del futuro, Max Verstappen, graffiato dai team radio memorabili di altri due campioni del mondo, Kimi Raikkonen e Fernando Alonso, che negli ultimi anni sembrano leggermente appassiti, e contagiato dal sorriso a trentadue denti di un Daniel Ricciardo che da ormai qualche anno stupisce per simpatia e velocità, il buon Felipe rischia sempre di passare in secondo piano.

E se proprio deve essere ‘esaltato’ per qualche record, molto spesso viene canzonato con i due numeri più curiosi della storia di questo sport: campione del mondo 2008 per soli 38 secondi e ritorno alle corse più veloce di sempre dopo aver annunciato il suo ritiro 50 giorni prima. Giustissimo nel momento in cui si vuole parlare con leggerezza di uno sport dannatamente ‘serio’ e pericoloso. Ingiusto, però, nei confronti di un pilota che ha ottenuto meno di quanto avrebbe meritato. Una carriera – quella di Felipe – irrimediabilmente segnata da un evento più unico che raro e che non coincide né con la beffa di Interlagos 2008 né con il “primo ritiro” dell’anno scorso.

È il 25 luglio 2009 quando nella seconda manche delle qualifiche a Budapest una molla di 800 grammi si stacca dal retrotreno della Brawn GP dell’amico e connazionale Rubens Barrichello. Felipe in quel momento viaggia a circa 200 chilometri orari, perde il controllo e si schianta contro le barriere. Da quel momento il buio. I dottori parlano di commozione cerebrale con frattura della zona sopraorbitale e si mostrano pessimisti addirittura su un suo possibile recupero fisico: l’occhio era stato visibilmente maciullato dall’impatto e anche da un punto di vista neurologico il quadro era tutt’altro che roseo.

Da lì, suo malgrado, il punto di non ritorno. L’unica nota positiva è il pieno recupero fisico e mentale che gli ha consentito di tornare alle corse. La Ferrari lo riconferma per l’anno successivo – il 2010 – al fianco del neo-acquisto Alonso chiamato in sostituzione di un Raikkonen ormai privo di motivazioni. L’ombra di Fernando però si fa gara dopo gara sempre più ingombrante e ad Hockenheim Felipe tocca quello che lui stesso ha più volte definito il punto più basso della sua carriera, ancor più del terribile incidente: “Fernando is faster than you”. I rapporti con lo spagnolo si incrinano irrimediabilmente, e nonostante abbia preso coscienza di essere il numero 2 all’interno del team, Felipe rimane a Maranello, probabilmente per ricambiare quella gratitudine che a dire il vero ormai era venuta meno. Tre stagioni deludenti con solo cinque podi all’attivo e mai una vittoria. Poi nel 2014 il passaggio ad una Williams mai in lotta per il titolo e che nelle ultime due stagioni sta annaspando in un’evidente crisi tecnica.

Eppure Felipe è nel cuore dei tifosi. Per i ferraristi – quelli veri, non gli occasionali – è un idolo. È un idolo per la tenerezza delle scene in cui il gigante Schumi – che poi in realtà tanto alto non è – abbracciava quello scricciolo di 1,66: Michael nel suo ultimo anno in Ferrari (2006) ha preso Felipe sotto la sua ala protettiva ed era visibilmente contento quando il brasiliano ha ottenuto le prime due vittorie a Istanbul e San Paolo. È un idolo perché senza di lui Kimi non avrebbe mai acciuffato il titolo all’ultima corsa (2007). È un idolo perché l’anno successivo (2008) si è ripresentato ai nastri di partenza con la stessa grinta e, nonostante il doppio zero nelle prime due gare e le streghe della notte di Singapore, ha dominato l’ultima gara dal finale tragico: nemmeno Agatha Christie avrebbe mai potuto immaginare un epilogo simile. Solo il destino può aver progettato una beffa tanto grande. Quello stesso beffardo destino che qualche gara dopo ha fatto da spartiacque alla sua carriera se non anche  alla sua vita.

Mai una parola fuori posto, sempre cordiale e pronto a una battuta nelle interviste. Pilota velocissimo e uomo squadra impeccabile che non può fregiarsi del titolo di campione del mondo per uno scherzo del destino irripetibile. Ma Felipe ha vinto, più da uomo probabilmente che da pilota. Ma ha vinto e ci mancherà. Obrigado Felipe

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