Barzagli, Bonucci e Chiellini sono probabilmente il trio di difensori migliore del pianeta al giorno d’oggi. Se le coppie difensive di alto livello si sprecano infatti, risulta difficile – per non dire proibitivo – riuscire a trovare tre centrali meglio assortiti dello straripante pacchetto arretrato bianconero, che negli ultimi anni ha fatto le fortune della Juventus e della Nazionale.
Eppure la loro convivenza sembra essere diventata sempre più un handicap per la squadra campione d’Italia, incapace di fare a meno dei propri totem difensivi i quali, dal canto loro, la costringono paradossalmente a vestire un anacronistico 3-5-2; modulo che – specie dopo l’ultima, faraonica campagna acquisti – addosso alla Signora appare sempre più stretto.
La sconfitta con l’Inter sembra essere emblematica di questa sorta di “malessere esistenziale”, dell‘insostenibile leggerezza di un brand che, paradossalmente, sembra essersi trasformato da punto di forza in problema da risolvere per Max Allegri.
Risulta infatti difficile, ed oltremodo miope, riassumere interamente la debacle di San Siro con una semplice marcatura sbagliata su calcio d’angolo, o spiegarla con la trance agonistica che l’Inter – per la prima volta in questa stagione – è riuscita a mettere in campo per 90 minuti consecutivi. La verità infatti è che i nerazzurri, nel computo dei due tempi regolamentari, hanno ampiamente meritato il successo sul campo.
Ed il bistrattato De Boer, senza fare nulla di trascendentale, ha imbrigliato facilmente la squadra di Allegri, vincendo a mani basse il confronto tattico tra allenatori. Analizzando la partita infatti, non si possono non ignorare diversi fattori tattici risultati alla lunga determinanti nell’esito della gara: Pjanic in cabina di regia è stata una mossa che non ha pagato, innanzitutto.
Certo il bosniaco ha tutte le qualità per poter far bene in quel ruolo, ma il pressing avversario l’ha costretto spesso e volentieri alla giocata semplice, impedendogli di salire per provare a fare la differenza in zone di campo a lui più congeniali. Lo stesso si può dire per Paulo Dybala, costretto a “fare il Pjanic” arretrando spesso e volentieri il proprio raggio d’azione fino al cerchio di centrocampo nel tentativo di costruire gioco (lasciando a sua volta da solo lo sconsolato Mandzukic, autore di zero tiri in porta in 74 minuti non soltanto per colpa sua).
D’altronde, con un Pjanic ridotto al ruolo di mastino davanti ai difensori ed un Dybala perennemente raddoppiato e fuori posizione, l’onere di costruire gioco è stato delegato ad Asamoah e Khedira, non propriamente due costruttori per vocazione (specialmente il ghanese ha giocoforza messo in mostra tutti i suoi limiti in questo fondamentale).
Per quel che riguarda i tornanti, l’ottima prova di Alex Sandro – un pendolo che sulla fascia di competenza inizia a ricordare il Cafù dei tempi migliori – è stata frutto della straripanza atletica e tecnica di un giocatore in un ottimo momento di forma, piuttosto che di vere e proprie intuizioni tattiche. Tant’è che il dirimpettaio Lichtsteiner, decisamente meno dotato dal punto di vista dell’abilità nell’uno contro uno, è stato bloccato per quasi tutta la gara dalla disposizione dei giocatori interisti (goal a parte, praticamente un fulmine a ciel sereno).
Barzagli, Bonucci e Chiellini hanno fatto la loro onesta partita, ma hanno dovuto soccombere anche loro alla prorompente freschezza del gioco nerazzurro, fatto di verticalizzazioni rapide volte sempre a cercare la porta avversaria piuttosto che il fraseggio. L’Inter ha avuto dunque il merito di schiacciare la Juve, con i bianconeri entrati in campo troppo rinunciatari, tanto nel modulo quanto nell’atteggiamento mentale e tattico.
Il 3-5-2 che ha fatto le fortune della prima Juventus di Conte non è mai apparso come il modulo adatto a tentare di imporre il proprio gioco, e la partita di San Siro è sembrata la prova del nove in questo senso. Non a caso, i due “capolavori tattici” di Allegri relativi all’anno scorso, ovverosia la qualificazione sfiorata nella doppia sfida contro il Bayern Monaco in Champions League, hanno visto la Juventus scendere in campo con un 4-4-2 anomalo all’andata ed un 4-2-3-1 al ritorno.
In entrambi i casi, la difesa a tre era stata accantonata. A maggior ragione oggi, con la rosa a disposizione della Juventus 2015/2016, continuare sulla strada della “BBC italiana” appare una forzatura incomprensibile, visti i grandi limiti oramai ben noti che implica un sistema di gioco del genere.
Massimiliano Allegri non può più nascondersi dietro dichiarazioni di facciata: la società ha messo a sua disposizione una rosa adeguata per dominare in Italia e tentare l’impresa in Europa, e non esiste top team al mondo che non scenda in campo in ogni singola partita con una precisa idea di gioco a prescindere dall’avversario.
Appare dunque ovvio che anche la Juventus, specialmente a fronte degli esborsi estivi, dovrà cercare la propria strada lontano da quel 3-5-2 diventato ormai il retaggio anacronistico di una squadra che poteva vantare il miglior terzetto difensivo ed il miglio trio di centrocampisti al mondo, e che oggi non esiste più.
Mettere in discussione il valore intrinseco di Barzagli, Bonucci e Chiellini è follia, ma porsi dei dubbi sulla loro funzionalità rispetto alle esigenze della Juventus odierna è quantomeno lecito, se per metterli in campo insieme è necessario impedire al resto della squadra di spiccare il volo verso l’ultimo step. Trovare una nuova veste per la Signora, a fronte del materiale umano e tecnico a disposizione, non è dunque solo auspicabile: a quattro giornate dall’inizio del campionato, è già diventato tassativo.