La Brigham Young University (BYU), prestigiosa università dello Utah, è regolata dai rigidi divieti mormoni. Eppure, questo sembra non pesare a Giuseppe Vinci, il 29enne milanese che ha deciso di trasferirsi negli Stati Uniti, perché in Italia non si può fare pallavolo a livelli professionistici.
Ecco, in breve, la storia di Giuseppe, raccontata dal diretto interessato: “Alle scuole medie i docenti non riuscivano a svitare la rete dal campo perché era fissata con dei bulloni. Ore e ore di bagher e schiacciate mi hanno fatto innamorare di questa disciplina fino a che, a 13 anni, un brutto infortunio alla caviglia mi ha costretto alla resa. Nel frattempo mi ero trasferito a Casteggio, nel pavese, dove mi fu affidata la panchina della squadra locale. Da quel momento non ho più smesso di allenare“.
In poco tempo, Giuseppe Vinci diventa uno degli allenatori più conosciuti della zona, grazie ad una preparazione di base e ad un’attenzione quasi maniacale nel preparare le partite e nello studiare gli avversari: prima va a Pavia, in A2, poi a Milano e infine fa parte della spedizione azzurra alle Olimpiadi di Pechino del 2008: “Ero ai massimi livelli e amavo la pallavolo italiana, ma negli ultimi anni mi ritrovavo senza diversi stipendi e pieno di punti di domanda sul futuro. Volevo a tutti i costi rimanere in quel mondo e, su suggerimento di amici nel giro della nazionale americana, inviai curriculum e statini dell’università di Pavia a alcuni college americani“.
E qui comincia l’avventura di Giuseppe Vinci a Salt Lake City: “Scelsi la BYU perché ha corsi rinomati e squadre di pallavolo tra le più competitive d’America, con diversi titoli in bacheca tra uomini e donne. I primi anni sono stati duri, perché lavoro e studio mi imponevano ritmi altissimi”, spiega Giuseppe, che visse la magnifica esperienza di una seconda Olimpiade, culminata con l’argento degli Stati Uniti.
Oggi, Giuseppe ha sviluppato un programma che digitalizza i 16 anni di esperienza sul campo, volleymetrics.com: “Allenatori e dirigenti delle squadre ci inviano i video delle loro squadre o di quelle avversarie, noi li analizziamo e diamo facile accesso a dati e filmati via internet. Negli Stati Uniti abbiamo una ottantina di clienti, tra cui squadre blasonate. Spero che un giorno il progetto mi dia la possibilità di tornare in Italia e restituire qualcosa al Paese che mi ha reso ciò che sono”.