La prima fake news della storia fu il cavallo di Troia

Se ne parla sempre più spesso, ma le fake news non sono certo una scoperta degli ultimi anni. Risalendo indietro nei secoli, la prima bugia storica sarebbe legata al famosissimo cavallo di Troia. Tutto sarebbe nato da un equivoco: vediamo quale.

La prima fake news della storia fu il cavallo di Troia

Il cavallo di Troia è un vero e proprio mito che ha attraversato indenne i millenni. La sua storia è conosciuta da tutti: dopo dieci lunghi anni di assedio, i greci finsero di mollare la presa, e in segno di pace fecero costruire un cavallo di legno da donare ai loro rivali troiani. L’episodio narrato da Omero permise così agli achei di sconfiggere i nemici che avevano incautamente portato il cavallo all’interno delle mura. L’animale conteneva infatti al suo interno i soldati che uscirono di notte aprendo le porte della città. Da lì fu facile per i greci sopravanzare i loro nemici, ponendo fine alla guerra.

Ma a quanto pare lo stratagemma sortito da Ulisse non sarebbe altro che un falso storico. A sostenerlo troviamo l’archeologo navale Francesco Tiboni, ricercatore italiano presso l’università di Marsiglia. Il cavallo di Troia non sarebbe quindi mai esistito, o comunque non come raffigurato dalla narrazione di Omero.

Il famoso cavallo non sarebbe da intendere come quello che tutti noi oggi si immaginano, ma rappresenterebbe un modello di nave fenicia dotato di una polena – una decorazione posta a prua della nave – con una testa a forma di cavallo. Questo genere di imbarcazione veniva chiamata hippos, stesso termine utilizzato anche per indicare il comune animale da soma. Una non accurata traduzione dei testi dell’Iliade avrebbe contribuito a far sorgere il millenario equivoco. Saremmo dunque di fronte ad un errore a cui non scampò nemmeno uno scrittore dello spessore di Virgilio, l’autore dell’Eneide.

Dobbiamo quindi ritenere il cavallo di Troia una fake news dell’antichità? Per Francesco Tiboni la risposta non può che essere positiva. Omero era un esperto conoscitore delle tecniche marinaresche dell’epoca, mentre chi successivamente tradusse le sue opere, per lo più profani in materia, cadde facilmente nell’equivoco, travisando il contenuto del suo scritto.

Non fu quindi un caso che il termine “cuciture” venne fatto riferire a funi e vele, mentre in realtà doveva per forza di cose trattarsi del fasciame in legno dello scafo. Se, così come raccontato, ad essersi usurate erano le vele e le corde, tutto ciò non avrebbe costretto i greci a concludere l’assedio; Omero intendeva infatti che a marcire era il legno delle navi ferme da diversi anni in prossimità dei campi di battaglia.

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