Dallara Stradale: dal genio dei telai in carbonio arriva la supercar italiana più estrema

La supercar in questione, frutto del genio che - per oltre 4 decenni - ha fornito avveniristici telai alle principali competizioni sportive mondiali, è stata annunciata qualche giorno fa, rivelando la radicalità delle sue innovazioni su ogni piano possibile.

Dallara Stradale: dal genio dei telai in carbonio arriva la supercar italiana più estrema

Quando si parla di auto di lusso e prestigio, in Italia, è facile pensare solo al brand di Maranello, tuttavia – nel suo “piccolo” – anche l’emiliana Dallara, fondata nel 1972 in quel di Varano De’ Melegari, ha fatto la storia dell’automobilismo mondiale, con i suoi apprezzatissimi telai in carbonio, che hanno implementato vetture celebri e rifornito le principali competizioni su 4 ruote. Oggi, Dallara fa un ulteriore passo verso la trasformazione in completa casa automobilistica, sfornando la sua prima vettura estrema, col nome di “Dallara Stradale”.

Dallara, nel corso degli ultimi 4 decenni, ha affinato progressivamente la sua capacità di produrre telai in carbonio grazie ad un simulatore che, con le moderne tecnologie, si è rivelato capace di mostrare, inserendo una manciata di parametri matematici, il comportamento di ogni auto nelle più disparate condizioni. Ciò ha portato l’azienda emiliana a equipaggiare supercar nelle principali competizioni, come Formula 1 e 3, GP2, GP3, e LMP, diventando – a partire dal 2009 – la fornitrice unica dei veicoli che concorrono alla IndyCar.

Anche grazie all’immenso know how accumulato a riguardo, i tecnici dell’ingegner Gian Paolo Dallara (anche fondatore del gruppo) hanno configurato e realizzato la prima auto completa di casa, la Dallara Stradale, presentata qualche giorno fa proprio nel piccolo circuito cittadino. Il veicolo in questione è decisamente straordinario sotto ogni punto di vista, ed estremo in ogni livello di scelta.

Per il motore, si è selezionato un propulsore che abbinasse potenza a leggerezza, e le preferenze sono ricadute sul powertrain della Ford Focus RS, un 4 cilindri da 2,3 litri, capace di erogare una potenza di 400 cavalli vapore, e una coppia motrice massima pari a 500 Newton metri che, abbinato al telaio, come da tradizione in carbonio, ha portato la massa totale della Dallara Stradale ad appena 855 kg. Un risultato, questo, che ha generato, come conseguenza, la possibilità di sprintare – supportati da un cambio manuale a 6 marce (ma quello con sequenziatore al volante è in arrivo, con upgrade gratuito) – da 0 a 100 km/h in 3.25 secondi, raggiungendo una velocità massima di 280 km/h, ed un’accelerazione laterale di 2G (si avverte due volte il proprio peso). 

Se a questo aggiungiamo che, nel toccare la velocità massima, si mette a terra una forza di 820 kg, è facile ipotizzare come guidare la Dallara Stradale, specie nella più libera modalità sport (disponibile anche quella normale), sia un’esperienza non comune, destinata a rimanere “impressa” nella memoria del pilota. Quest’ultimo, tra l’altro, per accedere all’abitacolo, ove potrà scegliere la distanza dal volante e dalla pedaliera, dovrà scavalcare lo chassis laterale, per entrare nel vano di questa due posti (fissi). Il motivo è semplice: la Dallara Stradale NON ha le portiere e, nell’allestimento “barchetta”, non ha nemmeno il parabrezza, quasi a là spider: naturalmente, è sempre possibile prevederlo, opzionalmente, alla maniera delle roadster, abbinarlo con una struttura a T (come nelle vetture “targa”) a volte accompagnata da 2 paratie laterali in grado di sollevarsi ad ali di gabbiano. 

Un veicolo come la Dallara Stradale, però, sarebbe sprecata nel solo uso di tutti i giorni e, difatti, non si risparmia la possibilità d’essere cadenzata per l’uso su pista, grazie alle sospensioni regolabili elettronicamente, incluse nell’apposito pacchetto aerodinamico previsto per questa fattispecie di utilizzo. Provare una Dallara Stradale, però, non sarà facile: nei prossimi 5 anni, le officine di Varano ne sforneranno solo 600 esemplari, prezzate a circa 150 mila euro cadauna. Neanche tanto, per una piccola opera d’arte frutto del genio nostrano. 

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