Facebook: perde il consenso della Generazione Z e di Wozniak, problemi con le istituzioni, pessimo update per Lite

Non si placano le querelle che antepongono Facebook alle principali istituzioni e personalità mondiali e, nel contempo, cala la popolarità presso i giovani della Generazione Z: in più, la nuova versione di Facebook Lite appare colma di difetti.

Facebook: perde il consenso della Generazione Z e di Wozniak, problemi con le istituzioni, pessimo update per Lite

Il social network Facebook non sembra avere più l’appeal di una volta: pur diffuso tra circa 2 miliardi di persone nel mondo, non gode più delle attenzioni della “Generazione Z”, né delle simpatie dei grandi influencer hi-tech. Anche le istituzioni, in vero, non sembrano particolarmente clementi col social in blu, specie nelle fasi iniziali del varo di Libra e per quanto riguarda la gestione dei dati personali. Con presupposti del genere, passa quasi in secondo piano il varo di una nuova versione, per altro non memorabile, di Facebook Lite.

Di recente, il portale Business Insider ha pubblicato l’esito di un sondaggio, commissionato a terzi e condotto su 1884 individui americani, di età compresa tra i 13 ed i 21 anni, con l’intento di capire le tendenze della Generazione Z (i nati tra il ’95 ed il 2010) rispetto ai social di oggi. Da quanto emerso, Facebook risulta la piattaforma più abbandonata, più ancora di TikTok (27.9%) e Skype (24.6%), con oltre il 30% delle preferenze espresse: anche tenendo conto delle agorà digitali a cui si accede quotidianamente, le cose non vanno affatto meglio, con Facebook che, qui, si colloca al 4° posto (34.19%), dietro i colossi della multimedialità, come la propria Instagram (64.59%), ed i rivali YouTube (62.48%), e Snapchat (51.31%).

D’altronde, è difficile che le cose migliorino, in termini di popolarità, quando anche l’iconico co-fondatore di Apple,Wozniak, che già ha abbandonato Facebook nel 2018, in seguito allo scandalo Cambridge Analytica, intervistato dalla rivista TMZ mentre era di passaggio all’aeroporto di Washington, non ha trovato di meglio che invitare tutti a chiudere il proprio account di Facebook, a meno che non venga messa in pratica la sua idea. Quale? Far sì che la gente paghi per usare i servizi del social, con quest’ultimo che – a quel punto – non dovendo trasformare l’utente in prodotto per guadagnarci – potrebbero tenerne i dati al sicuro. 

Anche mettendo da parte lo scarso entusiasmo attorno al social, per Menlo Park rimane comunque la grana delle istituzioni mondiali. Dall’Italia, è arrivato il parere dell’esperto per la blockchain nominato dal ministero per lo sviluppo economico, Massimo Chiriatti, il quale si è detto preoccupato che, con Libra, Facebook diventi una sorta di Banca Centrale che, già in possesso dei dati degli utenti, ma senza alcun rapporto con gli Stati – punti ad offrire, con tutte le conseguenze del caso, la propria cripto-currency direttamente al proprio target. Sempre dall’Europa arrivano alcune prese di posizioni dall’interno della Banca Centrale Europea, che già in passato s’era mostrata scettica verso i crypto asset: uno dei suoi membri, il francese Benoit Coeure, ha osservato – in una posizione che ricorda quella delle commissioni tematiche del Congresso USA – quanto sia pericoloso far nascere servizi finanziari in una situazione di sostanziale vuoto normativo, con annesso invito agli enti di controllo a farsi trovare pronti per l’arrivo di Libra, evidentemente con adeguati quadri normativi e sistemi di controllo.

Negli USA, invece, il gossip del momento, specie tra le società di rating finanziario, appare focalizzato su quale delle società hi-tech attualmente nel mirino dell’anti-trust americano sia più suscettibile di sanzioni: in molti, in questo caso, puntano su Facebook, che con Google si spartisce buona parte degli introiti pubblicitari online, ipotizzando la possibilità di contromisure strutturali, come la dismissione degli asset Instagram e WhatsApp: non stupisce, quindi, che la svizzera USB abbia scalato al ribasso del 10% il prezzo d’acquisto per i titoli di Facebook, ora fissato a 177.47 dollari.

Ancora negli USA, poi, alcuni senatori del Congresso hanno presentato un disegno di legge, il Dashboard Act, rivolto alle piattaforme 2.0 che hanno più di 100 milioni di utenti attivi al mese, nel quale si chiede che questi colossi hi-tech esplicitino la natura dei dati raccolti per ogni utente, e quanto questi dati effettivamente valgano dal punto di vista economico, posto che vengono ottenuti dagli utenti in cambio dell’accesso gratuito di questi ultimi a tutta una serie di servizi formalmente presentati come “free”.

Infine, Facebook Lite. Per l’applicazione leggera che consente l’accesso al social senza troppi fronzoli, ideale per i telefoni poco potenti e i mercati in via di sviluppo, poi arrivata anche in Italia, è in corso di rilascio (a partire da Bangladesh, Sri Lanka, Vietnam, Nepal, Sudan, Sud Africa, Zimbabwe, e Sud Africa) un aggiornamento (154.0.0.7.120 beta) che, però, non è stato ben accolto. L’app, una volta installata, si è rivelata più o meno simile alla versione mobile del social, ma con le notifiche push e l’accesso alla messaggistica, mentre il peso occupato a fine installazione (1.16 MB) è ben lungi da quello propagandato (252 KB) e si riscontra una lentezza sia nell’uso del NewsFeed, che nel passaggio da quest’ultimo alle altre sezioni dell’app. 

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