Facebook: colpo ferale a Libra, controversie sulla disinformazione, ennesimo repulisti di profili fake

Il noto social in blu, annunciato un repulisti di elementi fake in Birmania, e migliorati i salari dei propri moderatori, ha affrontato nuove polemiche in relazione alla correttezza informativa, al caso Cambridge Analytica, ed al progetto Libra.

Facebook: colpo ferale a Libra, controversie sulla disinformazione, ennesimo repulisti di profili fake

La settimana appena iniziata si è aperta per Facebook, ancora una volta, all’insegna dei problemi, con nuove preoccupazioni emerse in relazione alla criptomoneta Libra, al caso Cambridge Analytica, ed alla disinformazione. Il tutto mentre da Menlo Park partivano iniziative per migliorare le condizioni dei moderatori, e l’ennesima bonifica con la rimozione di vari account accusati di averne violato i regolamenti.

Secondo il portale Bloomberg, che avrebbe avuto modo di consultare un rapporto preliminare in merito, Facebook sarebbe sotto indagine dell’antitrust europea non solo per la posizione dominante acquisita con l’acquisizione di varie applicazioni note, ma anche per la criptomoneta Libra che, questo il timore, potrebbe mettere in atto comportamenti anti concorrenziali nei confronti di altri, rivali, metodi di pagamento. Nello specifico, il timore della commissione con sede a Bruxelles è che sistemi analoghi o alternativi non possano accedere alla stessa mole di dati personali messi a disposizione da Facebook: in più, sembra sia sotto analisi anche l’integrazione di Libra in WhatsApp e Messenger, la composizione e la governance della sua struttura, e gli ulteriori pericoli per la privacy che deriverebbero dall’associazione anche dei dati dei consumatori, che se ne avvalessero, con i profili degli utenti, a quel punto ancor più profilati. Ovviamente, interpellati sul tema, né il noto social che la Commissione Europea hanno rilasciato dichiarazioni in merito a quest’indiscrezione che, però, qualcosa sembra aver smosso, tanto che, all’interno di Libra, sembrano esser “volati gli stracci”. 

 A darne conto è il Financial Times che, pur senza far nomi, ha anticipato l’intenzione di tre membri (sul totale dei 28, di cui fanno parte anche eBay, PayPal, MasterCard, Visa, Uber, Spotify) del progetto Libra di sfilarsi dallo stesso (rinunciando, quindi, al concomitante versamento di 10 milioni di dollari quale cachet d’adesione) a causa dell’ostilità emersa presso diversi enti regolatori, con l’accusa – rivolta verso Menlo Park – di non aver tenuto un sufficiente numero di incontri preliminari con gli stessi, cui spetterà il compito di regolarne il funzionamento, l’uso, e la diffusione. Dal quartier generale californiano di Facebook, però, si è ribattuto con un’accusa analoga e inversa, rivolta verso i partner dell’iniziativa accusati di non essersi esposti in difesa della criptovaluta Libra. 

Anche il caso Cambridge Analytica, conclusosi con una maxi multa a Facebook, ed oggetto di un recente docufilm andato in onda su Netflix (“The Great Hack”), sembra sul punto di destare nuove polemiche, specie dopo che il procuratore distrettuale dello Stato della Columbia ha disposto la pubblicazione di alcune mail interne del social (datate dal Settembre 2015 al Febbraio 2016, gestite dall’avvocato Paul Grewal quale vicepresidente di Facebook), dalle quali si evince non solo che il network era impreparato nell’affrontare un caso del genere, visto che i dipendenti lamentavano la mancanza di linee guida da seguire in merito, ma anche che Facebook sospettasse qualche comportamento scorretto della società d’analisi in questione ben prima di quando – Dicembre del 2015 – venne dichiarato alle autorità: alcune missive, in particolare, datate Settembre 2015, sembrerebbero porsi già dei dubbi (non provati) sulle pratiche non autorizzate di estrazione dei dati (“scraping”) dai profili, messe in pratica da Cambridge Analytica. 

Anche il mondo della correttezza informativa non ha mancato di offrire la sua porzione di preoccupazioni a Menlo Park. Tempo fa, Zuckerberg annunciò un progetto in cui sarebbero stati condivisi col mondo accademico diversi dati volti a far capire l’impatto dei social sulla democrazia, in modo che non fosse più possibile alterare i processi elettorali. Tuttavia, secondo le lamentele provenienti da chi aderì al progetto (Democracy Fund, Charles Koch Foundation, Alfred P. Sloan Foundation, etc), Facebook non ha mai fornito tali dati e, in particolare, quelli relativi alla disinformazione avvenuta in occasione delle elezioni italiane del 2018, di quelle tedesche, e del pattern di dati inerenti le notizie comunicate in modo parziale o del tutto false. 

Per fortuna, almeno dal settore delle moderazioni, vengono delle buone notizie. In passato si era detto che Facebook pagasse poco i moderatori dei contenuti, a volte che traumatizzanti, che venivano rimossi dal social in seguito al sopraggiungimento di segnalazioni, imponendo degli obiettivi di successo e precisione alquanto stressanti. Nel Maggio scorso, qualcosa è cambiato negli States, con la paga minima salita tra i 18 ed i 22 dollari orari, rispetto a una media nazionale di 15, ed ora tocca all’India, con i nuovi dipendenti di Genpact, società incaricata di gestire contenuti in inglese, nei dialetto indiani, in arabo e in qualche idioma asiatico o tribale afgano, che ora verranno pagati 250.000 rupie (3.500 dollari) all’anno in luogo delle precedenti 100.000 rupie (1.401 dollari). 

Anche i repulisti regalano sempre grandi soddisfazioni al team di Zuckerberg che, di recente, dopo aver defalcato 5 profili su Instagram, nell’ambito della stessa azione volta a preservare l’integrità e la sanità del dibattito pubblico, ha chiuso 216 elementi, tra profili (89), pagine (107), e gruppi (15) in Birmania, trovando che – nonostante dei tentativi di depistaggio – questi ultimi, per altro molto seguiti (900 mila iscritti per le Pagine, 67 mila per i gruppi), fossero riconducibili alle forze armate del posto. 

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