Si risveglia durante l’operazione, anestesia impreparata

E' successo più volte in passato, ora capita a 1-2 persone ogni 1000, di trovarsi in sala operatoria e risvegliarsi nel bel mezzo dell'operazione chirurgica

Si risveglia durante l’operazione, anestesia impreparata

Ricordo di essermi sdraiata sul tavolo” e ancora, “l’iniezione e la mascherina col gas. Glenn, il mio compagno, e Sue, la mia ostetrica, stavano accanto a me. Poi il buio”. A raccontare al Guardian la sua esperienza, è Rachel Benmayor, sottoposta al parto cesareo alcuni anni fa. Il racconto continua: “all’improvviso mi sono risvegliata nel dolore. Credevo di aver avuto un incidente d’auto. Non sapevo dove fossi. Non sapevo che stavo facendo un’operazione. Ero solo consapevole del dolore“.  Rachel racconta che sentiva tutto, ma non riusciva a comunicarlo a causa dei farmaci. Come lei, altri pazienti hanno raccontato lo stesso terribile risveglio.

Anne Lord racconta una “resistenza” familiare agli anestetici: lei, la madre e un figlio. La donna riferisce che, sottoposta all’operazione per rimuovere un cancro al colon, presso l’ospedale di Llandough a Cardiff, dopo essersi svegliata ha sentito qualcuno che urlava. Le hanno detto di smetterla di urlare, così ha capito che, ad urlare, era proprio lei. Con fatica ha liberato un piede e ha dato un calcio al chirurgo colpendolo nel petto. Il medico ha fatto un volo attraverso la stanza seduto suo sgabello. Anne conclude: “Avevo già avuto tre volte la quantità normale di anestetico”.

E’ assai difficile che questi risvegli accadano, alcuni studi anglosassoni effettuati nel 2014 hanno dimostrato che su mille pazienti uno o due pazienti hanno riferito di essersi svegliati in anestesia. Negli Stati Uniti si calcola che da 20 a 40mila persone conservino un qualche ricordo delle operazioni in anestesia. Pochi di questi hanno sentito dolore, ma questi episodi possono lasciare “significative problematiche psicologiche e forme di disabilità che durano anche a lungo”.

Le persone più a rischio, secondo Flavia Petrini, professore ordinario presso Università degli Studi “G. d’Annunzio” Chieti – Pescara e Presidente designato della Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva, sono gli obesi, chi fa già uso di analgesici, le persone anziane, fragili, anche psicologicamente, o con problemi cardiocircolatori e i casi entrati in sala operatoria in situazione di emergenza.

Un anestetico, secondo le conoscenze attuali, agisce sul sistema nervoso centrale, non si conoscono invece i meccanismi che regolano l’attività di alcune aree del cervello: vista, tatto e consapevolezza, che vengono silenziate ma che non reagiscono allo stesso modo con i diversi anestetici. Un modo per calcolare se l’anestesia è “profonda” è quello di verificare la concentrazione nel sangue dei gas utilizzati come anestetico insieme ai segnali cerebrali che misurano lo stato di coscienza in valori visualizzati in un monitor. 

Il compito degli anestesisti è creare cocktail anestetici – un tipo di anestesia chiamata “sartoriale” -, studiato su misura per ogni persona. Questi cocktail possono essere di breve o di lunga durata, possono essere inalabili o iniettabili, narcotici o allucinogeni e agire su differenti parti del cervello. Non sempre però tutto funziona la meglio e i motivi possono essere diversi: un’attrezzatura che si guasta, il tipo di intervento che richiede un’anestesia leggera e quindi più rischiosa. A vantaggio dell’anestesia resta un dato: negli ultimi 50 il tasso di mortalità è diminuito del 97% e anche l’incidenza di risveglio è passata da 1-2 casi su 100 di 30 anni fa a 1-2 su 1000.

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