Pazienti paralizzati comunicano grazie ad una cuffia hi-tech

Un gruppo di ricercatori svizzeri ha ideato un dispositivo attraverso cui i pazienti paralizzati, come i malati di SLA, possono comunicare, sebbene in minima parte, con coloro che li circondano.

Pazienti paralizzati comunicano grazie ad una cuffia hi-tech

Leggere il pensiero dell’uomo è sempre stato uno dei sogni, una delle aspirazioni della scienza.

Recentemente un team di ricercatori del Wyss Center for Bio and Neuroengineering di Ginevra (Svizzera) ha realizzato un dispositivo, una cuffietta da porre sul capo per la precisione, che permette di comunicare con i pazienti affetti da “sindrome locked-in” (LIS), cioè persone coscienti ma che non possono muoversi e comunicare col mondo esterno a causa della grave paralisi dei muscoli volontari del corpo, che spesso non permette loro nè di muovere gli occhi nè di deglutire.

Ma come avviene questa comunicazione? Attraverso un’interfaccia uomo-computer capace di trasformare i segnali del cervello in risposte comprensibili, grazie a dei sensori a infrarossi che rilevano il flusso di sangue in varie aree del cervello e “traducono” in semplici sì o no la “risposta” del paziente ad una certa domanda.

Il dispositivo in questione misura in particolare i cambiamenti di ossigenazione del sangue e l’attività elettrica del cervello. Si stima che la precisione di questo sistema si aggiri intorno al 75%.

Lo studio, raccontato in modo dettagliato sulla rivista Plos Biology, è stato condotto su quattro pazienti, donne e uomini, di età compresa tra i 24 e i 76 anni, affetti da Sclerosi Multipla Amiotrofica (SLA). I pazienti avrebbero “risposto” positivamente alla domanda in cui si chiedeva loro se fossero felici di vivere.

Il professor Niels Birbaumer, coordinatore dello studio, ha raccontato: “Tutti e quattro avevano accettato la ventilazione artificiale pur di continuare a vivere. A una persona normale certe condizioni appaiono intollerabili, ma anche un piccolo miglioramento della qualità di vita come quello di poter interagire con i familiari per queste persone costrette all’immobilità è vissuto in modo molto positivo. Per questo credo che se questa tecnica potrà essere sviluppata potrà avere un grande impatto sulla qualità della vita di questi pazienti”.

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