In Italia è scoppiata la voglia di referendum

Le due proposte di referendum sulla depenalizzazione dell'eutanasia e sulla legalizzazione della cannabis stanno raccogliendo centinaia di migliaia di adesioni grazie anche all'introduzione della firma digitale

In Italia è scoppiata la voglia di referendum

C’ è stato un tempo in cui per raccogliere le 500.000 firme previste dall’art. 75 della Costituzione per l’indizione di un referendum, i promotori dovevano sudare le leggendarie sette camicie e perdere giornate intere ai banchetti. 

Oggi non è più così e in Italia sembra scoppiata una voglia irrefrenabile di referendum. Ad oggi la richiesta di indire un referendum sulla legalizzazione dell’eutanasia ha già raccolto oltre 750.000 firme, mentre le proposta per un referendum sulla legalizzazione della cannabis ha raccolto in soli tre giorni ben 330.000 adesioni.  

Il merito va soprattutto a un emendamento presentato dal deputato di +Europa Riccardo Magi  alla recente legge di conversione del decreto semplificazioni che permette di raccogliere le firme dei sottoscrittori online grazie alla firma digitale. L’emendamento è stato approvato in via definitiva assieme alla legge di conversione.

 La firma digitale è un tipo di firma elettronica qualificata frutto di un processo informatico che equipara un’adesione data online, quindi a distanza, a una firma scritta, garantendone l’autenticità. Dentro un sito apposito dotato delle necessarie sicurezze creato ad hoc dai promotori, ci si autentica con lo SPID, il Sistema Pubblico di Identità Digitale che è già in uso in Italia da parte di almeno 20 milioni di utenti e si firma dal proprio computer o dispositivo mobile.

Il fatto che, grazie alla firma elettronica, sia diventato relativamente facile raccogliere le firme necessarie per chiedere l’indizione di un referendum, ha messo in allarme la classe politica. Allarme non del tutto ingiustificato perché un uso eccessivo dello strumento di democrazia diretta, oltre a depotenziare il ruolo di mediazione delle istanze politiche svolto dai partiti, mina le basi del nostro sistema democratico che è fondato sull’istituto della rappresentanza. Ai rappresentanti liberamente eletti nel Parlamento nazionale è demandato, principalmente, il compito di legiferare e abusare dello strumento referendario, sia pure soltanto in funzione abrogativa, costituirebbe di fatto una sorta di bypass degli eletti e quindi un vulnus per la democrazia così come da noi si è storicamente costituita.

Per questo circolano malumori sulla quota minima di 500mila firme per richiedere un referendum, ritenuta troppo bassa e c’è chi, già dal 2014, aveva proposto di alzarla a 800.000. Per farlo occorre però superare lo scoglio dell’art. 75 della Costituzione che, al pari delle altre previsioni contenute nella Legge fondamentale della nostra Repubblica, può essere modificato solo attraverso un procedimento “aggravato” che prevede due approvazioni per ogni camera e una maggioranza qualificata.

Sta di fatto comunque che l’introduzione della firma digitale, se facilita la sottoscrizione delle proposte referendarie, non giustifica completamente la valanga di adesioni che sono pervenute ai promotori perché chi non è d’accordo di andare al referendum non firma comunque, firma digitale o no.

E allora c’è dell’altro e la spiegazione risiede nella incapacità della politica di adempiere pienamente alla sua funzione in tempi nei quali i cambiamenti sociali sono all’ordine del giorno. Il tema del fine vita riguarda tutti e i cittadini ormai da anni aspettano una decisione dalle aule parlamentari. Nonostante i ripetuti richiami della Corte Costituzionale, il Parlamento tergiversa. Ugualmente nel nostro paese vivono circa 6 milioni di consumatori di cannabis, il 10 per cento della popolazione, che da tempo chiedono alla politica di trovare il modo di mettere fine allo spaccio clandestino, tanto più che far uso  di cannabis è ormai un comportamento che non genera più riprovazione sociale. 

In Italia, comunque, non corriamo il rischio di essere subissati di referendum, almeno non a breve. Nel 2022 c’è l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica e nel 2023 sono previste le elezioni politiche. Incastrarre nel calendario anche i referendum appare quanto mai arduo.

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