Timbrava il cartellino e tornava a casa, dopo 12 anni il giudice gli dà ragione (2 / 2)

Nel 2006 l’uomo, come detto, lavorava al Museo con mansioni di accoglienza clienti. Durante quell’anno avviene una riorganizzazione dei ruoli. Qui Orlando si ritiene “vittima di un sotto dimensionamento”, motivo per il quale scrive una lettera (regolarmente protocollata) in cui annuncia che si asterrà dal lavorare per rivendicare i suoi diritti.

Nell’arco di tre mesi, per quattordici volte (dalle 4 alle 5 al mese, insomma) timbra il cartellino, esce, ritorna sul luogo del lavoro a fine giornata per timbrarlo nuovamente e ritorna a casa. Una protesta assolutamente non violenta e molto singolare che l’uomo attua per “rivendicare i propri diritti”. In primo grado la protesta, però, non viene riconosciuta come legale e l’uomo viene condannato ad alcuni mesi in carcere, oltre a ricevere una multa di 350 euro.

L’uomo, però, si salva in Appello. Qui il magistrato stabilisce che il fatto di aver annunciato formalmente la sua astensione non possa essere considerata una truffa ai danni del datore di lavoro (nel suo caso lo Stato). Ecco perché l’uomo, in un certo senso, ha ragione. La parola “fine” alla vicenda, però, non è ancora arrivata. Manca il parere finale, quello della Cassazione, che stabilirà se effettivamente l’uomo sia condannabile o meno.