La scelta di Amoako: “Torno in Ghana. Italia sei una…” (2 / 2)

Sicuramente Amoako sarà felice di riabbracciare la propria famiglia dopo due anni di assenza, ma nel suo cuore non può non esserci un pizzico di delusione. Gli avevano parlato in maniera diversa dell’Italia, che nel nostro paese avrebbe trovato facilmente un lavoro e quindi l’opportunità di guadagnare soldi a sufficienza per mantenersi e per aiutare economicamente la propria famiglia in Africa. Ma non è stato così. Pochi giorno dopo l’arrivo in Italia, il ragazzo ha lavorato a Bagnoli, raccogliendo patate per due aziende agricole della zona.

“Era un lavoro duro. Almeno otto ore al giorno. E di soldi ne ho visti pochissimi: il primo mese non mi hanno pagato affatto, il secondo mi hanno dato 240 euro per 30 giorni di lavoro”. Insomma, l’ennesima storia (triste) di sfruttamento in assenza di diritti sindacali. Meglio tornare a casa, dalla propria famiglia, aiutarla e cercare di costruirsi un futuro dove ci sono le sue radici.

“Bisogna partire con un percorso a monte. Bisogna aiutare i giovani nei loro paesi di origine, per evitare che emigrino – spiega don Luca Favarin – in Italia si sentono solo un numero, loro però vogliono esistere, costruirsi un futuro. Quello dell’immigrazione è un tema complesso. Inevitabilmente c’è chi non riesce a integrarsi e allora bisogna considerare il rimpatrio assistito. Negli ultimi due anni abbiamo aiutato cinque ragazzi che hanno deciso di non vivere più in Italia. Avevano tutti tra i 20 e i 24 anni”.