La ketamina potrà diventare un medicinale per combattere la depressione (2 / 2)

Tra le droghe che hanno avuto più successo negli ultimi decenni figura sicuramente la ketamina, un anestetico dissociativo molto utilizzato e commercializzato in Italia con i nomi di Ketalar, Ketanest e Ketaset. La ketamina è un anestetico molto potente, tant’è che è sufficiente una somministrazione di 1 milligrammo per chilogrammo di peso per provocare anelgesia ed anestesia nell’arco di soli 30 secondi (in media l’effetto anestetico perdura dai 3 ai 10 minuti). Proprio per queste sue proprietà, questa sostanza viene ritenuta indispensabile per gli ospedali.

La World Health Organization ha infatti inserito la ketamina all’interno della sua “Essential Drugs List”, ovverosia la lista dei farmaci che ogni ospedale deve avere, mentre l’utilizzo come anestetico negli USA è stato approvato dalla FDA sin dagli anni ’70. Possiamo ben capire insomma perché il mercato della ketamina sia così fertile, ma questa sostanza ha anche un’altra qualità: in dosi sub-anestetiche provoca dissociazioni psichiche ed allucinazioni che l’hanno resa una droga molto utilizzata a scopo ricreativo. Eppure ulteriori studi la stanno ora riabilitando anche sotto questo aspetto.

Se è vero che la ketamina ha degli effetti collaterali piuttosto importanti e ben noti (specialmente ad alti dosaggi, dove questi possono risultare permanenti), è altrettanto vero che negli ultimi tempi si è dimostrata uno degli antidepressivi più efficaci in circolazione, se non addirittura il più efficace. Recentemente alcuni studi sperimentali hanno dimostrato che dosi sub-anestetiche di ketamina comportano un miglioramento rapido e deciso dell’umore dei pazienti affetti da depressione maggiore (i quali spesso non reagiscono invece alle terapie farmacologiche tradizionali). Inoltre i normali farmaci antidepressivi possono impiegare anche settimane per ottenere dei risultati apprezzabili, mentre nel caso della ketamina questi affiorano già nel giro di un paio d’ore. Sarà dunque la ketamina l’antidepressivo del futuro?